L’evento clou del ferragosto brolese. Sperando di rivederlo presto.
Un appuntamento che richiamava tantissima gente sul lungomare… sospeso per le normative antiassembramento. Alla prossima.
Gli spari dei “Fuochi” a Brolo è sempre stato qualche cosa di più, perchè ricordava e ricorda il “mestiere”, tramandato da generazioni dalle famiglie, quelle dei “giocufucari” locali, che partono con Don Biagio Castorino.
Lo spettacolo pirotecnico che disegna sogni e suscitato emozioni…
Giusto per dare un senso ai “fuochi”.
Questi si sparavano durante ed al termine delle processioni sacre che hanno sempre rappresentato momento spirituale collettivo (tra i pochi che a Brolo ancora davvero unisce trasversalmente la comunità sopra le parti e senza le fazioni). Le processioni si snodavano per le vie cittadine, vedevano la “giunta” di San Giuseppe con la Madonna, con dietro Sant’Antonino o il mesto incedere dell’Addolorata, quando già era sera, in quella che certamente rimane la processione più suggestiva dell’anno.
Momenti in cui si raccoglieva l’animus della gente che assisteva al passaggio di Santi e Patrone.
La spiritualità collettiva anche a Brolo, quindi, si manifestava come anelito collettivo. Si chiedevano grazie e perdono e quella protezione che serviva per poter continuare a lavorare tra magazzini di limone e quelli del sale dove c’erano sarde e acciughe da conservare, per la famiglia, per mandare i figli a scuola, per non aver la malaria. Insomma un rapporto diretto tra uomo-natura- sacralità.
E così le processioni si snodavano fra canti e preghiere, con molte donne vestite con gli abiti del Santo o della Santa (Santa Rita e Sant’Antonino e far da padroni tra le preferenze delle donne, che vestivano così, anche per un mese o per un anno, a seconda dell’importanza del voto fatto, anche i bambini di casa salvati dalla tisi o dalla polmonite, e prima ancora dalla “spagnola”).
Processione tutte partecipate delle quali si potevano cogliere vibrazioni intense o raccogliere altri “segnali” con le coperte ai balconi per le figlie da maritare, i ceri accesi, le lampadine illuminanti i vicoli.
Ed i mortaretti?
Avevano una funzione ben precisa. Oltre a scandire il transito della processione, l’uscita della Chiesa, il passaggio sul ponte del torrente Brolo, l’arrivo alla Marina, oppure gli spari all’alba , le “castagnole” sul sagrato, le “bombe”, sia al rientro della processione in Chiesa che alla fine della serata che si levavano in cielo col preciso significato di “spaventare” il demonio che infuriato, inseguiva le Statue Sacre per carpirle la Spiritualità collettiva, della quale era inseminato il Popolo di Dio che seguiva la celebrazione religiosa.
I mortaretti diffondevano il rumore ovunque, con fracasso continuo, e si concludevano sempre con una “cassa infernale”, cioè con il fendente definitivo.
Il diavolo terrorizzato, fuggiva all’inferno (cassa “infernale”) e se ne stava accucciato.
La Vergine Annunziata, l’Addolorata, San Pietro, Santa Lucia o Santa Rita, e le altre Statue sacre presenti nella Chiesa di Brolo allora avevano vinto!
L’antropologia culturale ha studiato queste forme che risalgono alle ere precristiane e si possono osservare ancora oggi in alcune ritualità orientali (quando la luna viene oscurata da una nube, si leva altro il rumore di tamburelli, campanelli e quant’altro, nel tentativo di spaventare la nuvola e farla così andar via), ma ancor più indietro, e così il rito del fuoco alla fine dell’inverno sulle campagne del Sud, per spaventare gli spiriti maligni e purificare la famiglia contadina, potremmo giungere perfino al cospetto dei Sacri Misteri Eleusini: la vittoria della vita sulla morte attraverso la scoperta dell’Anima.
Quindi Festa, Spiritualità e Tradizione.
Forse ora elementi lontani dagli spari del ferragosto, ma questo poco importa..
Noi ci godiamo ugualmente lo spettacolo… torniamo un pò bambini, battiamo le mani e dedichiamo quei giochi di fuoco in cielo ad una tradizione, di lavoro e d’arte, tutta brolese.
Brolo infatti vanta una vera scuola di jocufucari, i Castorino da sempre, ma prima ancora i Materia, con Don Biagio, e poi ancora il giovane Riturante, figlio di Cesare che sposò una Castorino. Una tradizione con forti vincoli di parentela familiare, fatta anche di contrasti e amicizia, di patti e di rabbie, ma anche di morti.
Come quelli dei caduti sul lavoro.
Ed allora il ricordo va a Don Natale, alla signora Paola ed alla giovanissima Inuzza, morti il 18 maggio del 1968
Il loro, quello dei Jocufucari è un mestiere pericoloso ma affascinate, dove un tempo l’innesco elettronico si sconosceva, la sicurezza era un lusso, il botto più forte era fatto dai miscugli di polvere pirica e tritolo, gli effetti colorati, scaturivano non da tecnologie made un cina, ma da alchimie di sapienti di dosaggi di polveri da sparo, ossidanti, sale e cloruri, dove micce e spolette venivano misurate al centimetro e l’elettronica – quella di oggi – degli inneschi data dalla cicca della sigaretta.
Un lavoro duro, in quelle “casematte” sulle alture “di Murtidda”, che in quel lontano maggio falcidiò i tre “giochufucari brolitani”.
Gli spari di ferragosto, alla fine, da sempre erano stati dedicati anche a loro.
Ultima chiosa.
Le tradizioni bisogna conoscerle bene nel loro significato, prima di pensare di buttarle via o declassarle a procedure fredde e senza significato, o semplici tavoli zeppi di litigiosità.
La festa aveva anche questo compito.
E quando manca la spiritualità collettiva, dove bisogna trovar l’”Amor di Dio” invece del “Timor di Dio” – sotto l’aspetto religioso – e dove serve recuperare il senso della civitas sociale, perchè serve dare un senso alla Città Laica per distruggere la malignità degli odiatori, dei vendicativi, dei presuntuosi al comando o dietro una tastiera, degli arroganti…
Ed i fuochi diventano simbolo e ingredienti per una recuperata felicità di una Città Aperta, non timorosa nè servile, senza tessitori occulti… libera e pronta a guardare al futuro, a nuove Feste, a nuovi punti d’incontro.