Categories: Cronaca Regionale

RIFIUTI UMANI E SOCIALI a perdere… ma non è la soluzione

di Manuela Messina

Droga, rifiuti, appalti edilizi, sfruttamento della prostituzione. Il gigantesco margine di guadagno sul lavoro sommerso. La  Confesercenti denuncia che il 7 % del Pil italiano è detenuto dalle cosche mafiose. Dunque, l’idea  che le ‘ndrine della Piana di Gioia Tauro sfruttassero da anni la precarietà della vita clandestina di migliaia di braccianti immigrati africani per la raccolta dei pomodori è un dettaglio che non riesce più, purtroppo, a destare stupore. Ma  la caccia all’uomo, quella sì. I pogrom di Rosarno e di Castelvolturno , gli incendi appiccati alle baracche dei campi rom a Napoli, le ronde leghiste a Treviso, gli slogan rabbiosi, indicano che il conflitto è esploso.

Anzi, imploso, dentro di noi.  Se le nostre città non sono mai state così sicure e il nostro ambiente così calcolabile, la nostra insicurezza è diventata iperbolica. Ingigantita dai media, e sfruttata dalla politica. Perché dare insicurezza significa controllo, e giustificazione ad atti eccezionali, compiuti per paura di conseguenze più gravi. Dall’apertura di un inceneritore ad Acerra, una delle zone più a rischio tumori di Italia, per paura di essere inondati da cumuli di rifiuti che nessuno vuole gestire in nome della collettività, agli sgomberi dei campi rom che dalla sera alla mattina si mettono in marcia  verso le aree da cui non sono ancora stati cacciati. L’insicurezza moderna è autoprodotta. Più cerchiamo di nasconderci  dietro l’ombra sicura di barriere sofisticate più ci sentiamo impauriti. E ancora più aggressivi. E nel tentativo di riaffermare la nostra esigenza di controllo, di pulizia, di ordine, scartiamo i rifiuti umani della nostra società opulenta, come scartiamo gli abiti passati di moda, quelli che non ci servono più. E se prima a Rosarno la retata della polizia giungeva a gennaio miracolosamente solo dopo aver completato la raccolta, ora che grazie ai finanziamenti europei  che trasferiscono fondi ai produttori non in base alla produzione ma agli ettari coltivati, e le cosche non hanno più convenienza a pagare anche per pochi mesi gli immigrati, tanto vale cacciarli prima in modo che non tornino più. O che a disturbarsi ci pensi  la polizia che ha l’obbligo di rispedirli a casa perché ormai in Italia la clandestinità è un reato grave. Dentro di noi cova una grande rabbia, troppo spesso ignorata. Lo indica la morbosità con cui cerchiamo nelle notizie al telegiornale di scoprire l’etnia dei violentatori dell’ultima vittima di stupro. Lo indica la cornetta riattaccata quando cerchiamo casa e la persona che ci risponde all’altro capo del telefono ha l’accento straniero. Lo indica la paura di sedersi accanto a un nomade in metropolitana. Lo indica lo schifo per gli odori acri che esalano le cucine dei quartieri di immigrati. E se la nostra idea di nazione e di società è ad un unico codificatore la soluzione per combattere i disagi sociali risiede nell’ eliminare i margini, il superfluo, gli scarti. Anche quando si tratti di scarti umani.

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