La nota di Antonio Mazzeo
Chi, come e quando ha deciso in Italia di dotare i libici di imbarcazioni veloci?
Motovedette italiane armate con cannoni italiani – utilizzati da militari libici formati e addestrati da personale italiano in Italia – che sparano e feriscono cittadini italiani. E’ quanto accaduto il 6 maggio nelle acque del Mediterraneo, protagoniste le unità della cosiddetta Guardia costiera della Libia, vittime tre pescherecci della flotta siculo-tunisina di Mazara del Vallo.
“Eravamo quasi a 50 miglia dalle coste libiche, al largo di Misurata e avevamo impiegato un’ora per recuperare le reti, quando verso le 10.15 ci ha chiamato la Marina Militare invitandoci ad invertire la rotta verso nord, senza spiegare cosa stava accadendo”, ha raccontato all’agenzia AGI il comandante del peschereccio “Aliseo”, Giuseppe Giacalone. “Verso le 13.15 una motovedetta libica ci ha affiancato. Ferma, ferma, ci urlavano e hanno cominciato a sparare con tre fucili”.
Durante la sparatoria alcune schegge hanno colpito Giacalone ad un braccio. “Puntavano sull’uomo, volevano uccidere solo me”, ha aggiunto il comandante del peschereccio. “I libici mi guardavano fisso negli occhi e con le dita mi facevano segno che mi avrebbero tagliato la gola. Poi siamo stati costretti a fermarci e hanno prelevato me ed il nostromo, mentre tre militari libici sono saliti a bordo del peschereccio. Uno di loro era stato addestrato a Messina e parlava italiano e anche la motovedetta libica è quella della Guardia di Finanza che gli avevamo dato noi. Questo militare ci ha detto che se non ci fermavamo, ci avrebbero lanciato delle bottigliette piene di benzina per utilizzarle come molotov”.
Le gravissime accuse di Giuseppe Giacalone sono state confermate dalla Marina italiana che ha pure rivelato l’identità della motovedetta impiegata per l’azione di fuoco, la “Ubari 660”. La foto scattata dai pescatori dell’“Aliseo” e pubblicata dal quotidiano Avvenire non lascia alcun dubbio: si tratta infatti della motovedetta consegnata dalla Guardia costiera italiana ai militari libici appena due anni e mezzo fa nella città di Messina.
Un evento immortalato dalle cronache del quotidiano online libyaobserver.ly. “I comandanti e i membri della Guardia costiera libica della base navale di Tripoli hanno ricevuto domenica 25 novembre 2018 il nuovo pattugliatore Ubari proveniente dal porto di Messina in Italia”, riporta la testata. “I membri della Guardia costiera erano stati in precedenza in Italia per un programma di addestramento di quattro settimane per prepararsi operativamente e tecnicamente all’uso dell’imbarcazione. In passato, la Marina militare libica ha pure ricevuto l’unità Fezzan come parte del sostegno e cooperazione della Guardia costiera italiana nella lotta alla migrazione illegale”.
Chi, come e quando ha deciso in Italia di dotare i libici di imbarcazioni veloci per sparare ai migranti in fuga dai conflitti africani e mediorientali e oggi perfino agli equipaggi dei pescherecci italiani nel Canale di Sicilia?
La lettura dei documenti ufficiali e degli atti parlamentari rivelano che non c’è stato esecutivo a Roma – perlomeno negli ultimi 20 anni – a cui non è possibile non attribuire una responsabilità diretta o la copertura dei crimini commessi dalle autorità di Tripoli.
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