Rosalia Simone D’Aliberti – Oggi a Messina si presenta il suo libro
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Rosalia Simone D’Aliberti – Oggi a Messina si presenta il suo libro

Rosalia_Simone_DAlibertiLa manifestazione è a cura di ARMENIO EDITORE di Brolo  e dell’ASS. CLUB CENTRO INCONTRI EUROPEI  sez. Messina –

Basicò, Montalbano, Tripi, Mazzarrà, Furnari, Falcone sono i paesi che fanno da sfondo alle appassionanti storie di vita siciliana, a cavallo tra gli anni ’30-’50, raccontate dalla scrittrice, nativa di Furnari.

Amori struggenti, l’eterna lotta tra umili e potenti, la natura solare, le belle storie degli animali, compagni di viaggio dei protagonisti regalano al lettore intense emozioni, suscitandone riflessioni e ricordi.

Per gentile concessione dell’editore pubbloichiamo uno stralcio del romanzo .

La storia di Antonia

Ogni qualvolta soffiano venti di guerra mi torna alla mente la mia prima infanzia e la storia di Antonia, che a quel tempo – è il 1943 e l’Italia è in guerra – ha diciannove anni. È bruna e bella ed ha appena conseguito il diploma di maestra: una speranza piena come le spighe di grano, che la sua gente si appresta a falciare nella terra assolata e generosa, che un giorno del 1938 vide suo padre partire volontario per la guerra di Spagna. Era convinto d’essere stato arruolato per motivi di lavoro ed aveva un sogno: aiutare i figli a costruirsi una vita migliore della sua. E, paradossalmente, sarà l’estremo sacrificio della sua vita a dare impulso a quella speranza: Antonia e un fratello studieranno con i sostegni previsti per orfani di guerra.

Anche Antonia ha un sogno da realizzare a guerra finita. Spera di raccogliere i frutti di tanti sacrifici insieme a Felice, di cui è innamorata, e che è stato inviato in Africa orientale con il ruolo di radiotelegrafista. Da parecchi mesi non riceve sue notizie e una notte lo sogna che le offre delle mele cotogne. Racconta il sogno alle vicine e insieme stabiliscono che le cotogne, aspre al palato e difficili da ingoiare, sono presagio di brutte notizie. Turbata dal responso, attende con trepidazione una lettera, che smentisca i cattivi presagi.

All’alba del 10 luglio 1943 gli americani, sbarcati lungo le coste siciliane, dilagano per l’isola ed i tedeschi in ritirata compiono ogni nefandezza. Si dice di giovani torturati, di ragazze violentate, di fucilazioni di massa a Castelbuono. Si dice, si dice, si dice… orrori!

Una sera mio nonno Giovanni costringe la famiglia a lasciare il paese per un rifugio più sicuro in campagna. Andiamo con altri fuggiaschi per la statale, che si snoda tra le campagne a sud del paese. La notte è buia e all’orizzonte un’ala di fuoco fa pensare che siano state bombardate le isole Eolie. Il cuore si fa pesante e il passo più svelto.

Dopo alcuni giorni ci spostiamo nella campagna dei nonni materni, più interna e sicura, dove troviamo Antonia e la madre, ospiti di parenti che lavorano quelle terre. È arrivata da pochi giorni, ma vuole tornare a Furnari, perchè potrebbe arrivare una lettera di Felice. In tanti cercano di dissuaderla, ma un pomeriggio imbocca la trazzera verso Furnari, sorda ai richiami della madre Angela, che infine la segue disperata. Prima di sparire tra gli ulivi si ferma a fissare la mano di mia madre sospesa nell’addio.

Si può a cinque anni conservare l’attimo per sempre? Quell’immagine vive in me da sessantasette anni.

Il giorno seguente è sulla porta di casa e aspetta il postino, quando l’aria s’inquieta. Il cielo precipita sui colli, il sole si schianta su Pianellaro[1] e il portoncino della casa di Antonia, scardinato dallo spostamento d’aria, si spalanca alla scheggia mortale e all’angelo dei prede-stinati. Tutto è compiuto! Non c’è più fretta, né paura. La bruna maestrina ha un grande fiore scarlatto sul petto e sorride a Felice che l’invita nell’infinito azzurro. È il 12 Agosto 1943. Antonia ora sa che Felice l’aspetta dal 16 novembre del ’42, giorno in cui è morto a causa delle ferite mortali riportate durante un attacco nemico.

Il mirabile volo d’angeli svanisce nell’infinito, mentre la madre urla e stringe al petto la sua creatura. È sola, perchè tutti sono andati a salvare la pelle. Ha tempo di bagnare di lacrime sua figlia e tutti i martiri ignoti, che non fanno la storia, ma sanno la verità. Una verità che solo i poveri di spirito delle Beatitudini possono intendere : la guerra è un atto di ignominia.

Finalmente la pietà sfida la paura. Gino[2] si avventura tra fumo e calcinacci per portare soccorso. Sarà lui ad inchiodare quattro tavole da letto per farne una bara. E mamma Angela va per la collina con pochi coraggiosi a seppellire la carne della sua carne, la pace perduta per sempre. Si dice che il suo addio fu udito fino al mare.

È il 15 Agosto. Sono passati appena due giorni dalla tragedia. La gente è stremata, confusa, impaurita, ma sente che qualcosa di nuovo sta per accadere. Nel pomeriggio, come per incanto, per il paese e le campagne si vedono sventolare, in segno di resa e di pace, le lenzuola bianche che accolgono i liberatori. Arrivano da ogni punto. Sono assetati di vino ed acqua fresca, e prodighi di cioccolata, gallette e sigarette. È questa la pace?

Crescendo ho imparato a conoscere l’uomo e le sue miserie, le insofferenze quotidiane, espresse con sguardi freddi, parole taglienti, silenzi ostili: preludi di odii assurdi. Ho cercato nella Bibbia le ragioni dell’odio e dell’amore e ho appreso che Dio vomita gli indifferenti. Ho trovato le radici della pace nel Suo grembo e ho imparato che Lui ha bisogno della nostra buona volontà per farle ramificare, fiorire e fruttificare.

È settembre, le giornate si fanno più brevi, le sere più fresche, gli americani hanno smantellano le loro posta-zioni e risalgono la penisola. Un giorno, un cantastorie si ferma sul marciapiede di casa mia, numero 66 di via Umberto I. Canta gli orrori della guerra, il massacro di Troina, le macerie di Messina. Molti piangono. Aspettano il ritorno di un figlio, di un fratello, di un marito. Ad un tratto dal portoncino ancora scardinato, esce la mamma di Antonia, avvolta in vesti nere. Aspetta che il canto finisca, poi s’inginocchia in mezzo alla strada a braccia spalancate ed implora: – Signore, pensa tu agli assassini.

***

A quel tempo, di Dio sapevo soltanto che era il creatore di tutte le cose. Mi parlava coi fiori, il sole, i frutti. Mi portava con sè quando di notte guardavo la luna vagare per il cielo. Lo amavo nell’amore dei miei genitori. Ma anche se avessi capito che è misericordia infinita e vieta che si tocchi Caino, ed avessi avuto la capacità di dirlo alla madre di Antonia, che bene le avrebbe fatto? Il perdono non può donarsi acerbo. Ha bisogno di silenzio, di speranza, di macerare nelle ferite, di superare le prove, per diventare balsamo.

Ora la mamma di Antonia vive dove non esiste più dolore nè vendetta e le sue braccia s’innalzano nella luce, al cospetto di Dio, ad implorare conforto per tutte le madri che urlano ancora un dolore di cui l’uomo ha bisogno per alimentare la sua superbia.

di Rosalia Simone D’Aliberti da il Fiume e la Luna edito da Armenio Editore

30 Ottobre 2011

Autore:

admin


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