TORINO– Che cosa possono fare i contadini per combattere fame e malnutrizione?
A questa domanda abbiamo cercato di rispondere al Salone del Gusto Terra Madre 2014 durante la conferenza L’agricoltura familiare contro la fame e la povertà.
«Un quarto del cibo che si spreca quotidianamente sarebbe sufficiente a risolvere il problema della fame nel mondo. E non dimentichiamo che sprecare il cibo significa buttar via inutilmente acqua e l’energia necessaria a produrlo. Per non parlare delle speculazioni, come quella avvenuta di recente in Mozambico, dove 36 000 ettari di terreno sono stati espropriati ai contadini e venduti all’India per impiantare una monocoltura di canna da zucchero. Ma io sono sempre convinto dell’attualità di un vecchio slogan: la terra a chi lavora!» esordisce Don Bruno Bignami, docente di Teologia morale e presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari, che ha focalizzato il suo intervento sulle contraddizioni che vive il nostro pianeta, fra zone in cui regnano la malnutrizione e la fame e altre dove è lo spreco a farla da padrone.
Si è definita «un’infiltrata» Soledad Barruti, giornalista argentina autrice del libro Malcomidos: Como la industria alimentaria nos està matando. La sua testimonianza invece punta il dito su ciò che non dovrebbe mai accadere: «In Argentina siamo stati invasi dalla soia transgenica di Monsanto, che oggi occupa il 60% delle terre coltivate ed è esportata per il 90% come mangime animale negli Usa. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla perdita della sovranità alimentare, con espropri forzati e minacce agli indigeni per farli sfollare e sostituire la soia alle loro colture, e a un progressivo spopolamento delle campagne».
A Carlo Petrini, presidente di Slow Food, il compito di sottolineare quanto l’agricoltura familiare sia importante per le sorti del pianeta: «Per vivere questa sfida, bisogna superare i particolarismi. L’umanità di Terra Madre è fatta di persone, culture, sensibilità molto diverse tra loro. Ma questo non è un difetto, è un’altra forma di biodiversità, una ricchezza da sostenere. Però, se questi soggetti tanto diversi non condividono obiettivi comuni, non riusciranno a fare valere i loro diritti». Petrini ha poi rivelato uno di suoi sogni: «Quand’ero giovane, quelli che si occupavano di cibo erano vecchi gourmet a cui non importava nulla dell’ambiente e dell’origine dei prodotti. Slow Food ha cambiato questo modo di vedere le cose, ma a me piacerebbe che i giovani diventassero i protagonisti e fautori di questo necessario cambiamento».
Il ritorno dei giovani alla terra, la crescita della sensibilità verso l’agricoltura e la necessità di intenti comuni tra soggetti diversi sono stati ribaditi anche da Roberto Ridolfi, direttore Crescita sostenibile e sviluppo di Europeaid, il quale ha poi messo l’accento su quello che per lui è il problema cardine che affligge la piccola agricoltura: la giusta remunerazione, senza la quale i contadini non solo restano poveri ma perdono l’orgoglio e l’amore per il proprio lavoro.
La conferenza fa parte del progetto Oltre Rio + 20 – Seminailcambiamento.org, illustrato da Elisa Bacciotti, direttore Campagne e cittadinanza attive di Oxfam Italia, e che ha tra i suoi partner Slow Food.
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