SAN FRATELLO – A Cavallo nel Parco
Cultura

SAN FRATELLO – A Cavallo nel Parco

L’Ente Parco dei Nebrodi e il Comune di San Fratello, a causa degli eventi tragici conseguenti al forte nubifragio che ha colpito la zona Sud della provincia di Messina, hanno ritenuto opportuno annullare e destinare ad altra data, la manifestazione della 51^ Mostra mercato del cavallo sanfratellano.

 

 

Sabato 3 e domenica 4 ottobre San Fratello la cinquantunesima rassegna mostra mercato del cavallo
cavalli_sanfratellaniUn appuntamento importante quello che richiama gente da tutte le parti, e non solo gli amanti degli equini e gli estimatori di questa razza autoctona, in grado di produrre splendidi esemplari.
A introdurre la manifestazione, spiegandone anche il significato e gli obbiettivi è il Commissario Straordinario dell’Ente Parco, Antonino Ferro “La promozione di un turismo eco-sostenibile e la valorizzazione e salvaguardia del patrimonio genetico del Cavallo Sanfratellano, simbolo della comunità del Parco dei Nebrodi sono gli obiettivi della 51° Rassegna della mostra-mercato. L’Ente intanto si sta già attivando sia per realizzare delle ippovie, che per il riconoscimento della certificazione di razza autoctona, assieme al Comune di San Fratello”.
Quello che si vedrà a San Fratello, nel week end, sarà  uno degli eventi più significativi dell’area del Parco dei Nebrodi che appassiona migliaia di visitatori che coglieranno l’occasione oltre di visitare il paese anche per innamorarsi  di questo territorio dove da secoli, libero, cavalca  questo cavallo forte e fiero,  che viene allevato brado negli 86 mila ettari del Parco dei Nebrodi.
Il programma prevede anche;
Sabato 3 ottobre alle 19.30 – Campo Sportivo Comunale “Luigi Gagliani “  – primo Galà Equestre a cura de “I Gattopardi”.
Domenica 4 ottobre – contrada Passo dei Tre, bosco di San Fratello – carosello con ragazzi a cavallo -  dimostrazione di mascalcia -  giochi con cavalgiocare -  spettacolo della comanderia  dei maestri d’armi e falconieri – Premiazione dei cavalli -   degustazione dei prodotti tipici dei Nebrodi.
“La manifestazione – sottolinea il Sindaco di San Fratello Salvatore Sidoti Pinto – oltre a valorizzare l’esemplare equino per il riconoscimento di razza, (i cui documenti già predisposti ed inoltrati, sia da parte del Comune, che dell’Istituto Incremento Ippico, sono al vaglio del Comitato Tecnico Centrale dell’AIA di Roma) tende, con una serie di attività collaterali sia richiamare un gran numero di appassionati ed esperti sia a valorizzare l’identità paesaggistica del Parco dei Nebrodi”.

La storia del cavallo sanfratellano
(tratto dal sito www.cavallosanfratellano.it)
Geneticamente, secondo recenti studi, quella del Sanfratellano ha tutte le caratteristiche necessarie per essere riconosciuta come razza. Il Parco dei Nebrodi è il luogo d’elezione in cui vivono allo stato brado oltre 5.000 capi di cui 1.800 fattrici.
Proprio perché la Sicilia era ed è tutt’oggi un’isola separata dai continenti, gran parte della storia del Sanfratellano è fortunatamente ancora oggi scrivibile sulla base di notizie certe e di deduzioni storiche attendibili e verosimili.
Possiamo perciò documentare sulla razza equina di San Fratello l’intervento dei saraceni, profondi conoscitori di ippicoltura, venuti dal nord Africa nel 703 e dal 900 padroni incontrastati dell’Isola e “contrastati” unicamente dai Normanni che intorno al 1053 ne divennero i nuovi signori (dopo una guerra durata 28 anni tra il 1062 e il 1090), pur mantenendo una certa tolleranza verso i vari gruppi etnici locali, compresi i saraceni rifugiatisi nelle zone più impervie dell’Isola e sui monti (Nebrodi inclusi).
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(Equus Hispanicus)
Sul gruppo autoctono di fattrici locali (già di per sé frutto con ogni probabilità di scambi storici con greci-cartaginesi-romani-vandali-goti-bizantini) possiamo perciò, con ogni certezza storica, a scrivere a questo momento l’intervento saraceno e normanno. E certo ed estremamente importante può essere considerato l’apporto dei “cosidetti lombardi” (in realtà Piemontesi/Liguri) che si insediarono a San Fratello nel XI sec. E venuti al seguito dell’Aleramica Adelaide del Vasto (morta in Patti il 26/04/1118), terza moglie del Conte Ruggero e futura reggente del Regno di Sicilia e Puglia in quanto madre di Ruggero II, il Re Normanno di Sicilia più illuminato e nonno materno dell’Imperatore Federico (Ruggero) II di Svevia.
Un ulteriore scambio avvenuto in periodo normanno deve con ogni probabilità essere ricercato intorno al 1130, anno in cui Ruggero II fu incoronato re a Palermo e momento in cui i Normanni unificarono la Sicilia con le Puglie e la Calabria ed il regno arrivava fino a 100 chilometri da Roma con grande interscambio di cavalli e cavalieri militari tra l’Isola e la terra ferma.
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(Maurus)
A porre fine al prospero periodo normanno in Sicilia fu il matrimonio tra Enrico figlio del grande Barbarossa e Costanza, figlia di Ruggero II di Sicilia, avvenuto a Milano il 27 gennaio 1186 in uno dei pochi momenti di pace tra Federico di Svevia (Barbarossa) e la Lega Lombarda.
Tre anni dopo (1189) il regno di Sicilia sarebbe passato allo svevo Enrico, che tuttavia potè occupare militarmente la Sicilia unicamente nel tardo autunno del 1194 con l’aiuto delle flotte pisana e genovese. Enrico VI potè perciò regnare in Sicilia solo con la violenza, poiché aveva condannato a morte o al carcere a vita centinaia di baroni siciliani contrari alla sua discesa.
Enrico VI per grande fortuna dei siciliani morì dopo soli tre anni di regno, lasciando alla Sicilia la sua eredità più preziosa: (Federico-Ruggero) Federico II di Svevia.
Fu all’età di 14 anni che Federico sposò Costanza d’Aragona, e con ogni probabilità inizialmente lo fece unicamente perché la sposa recava in dote 500 cavalli “iberici” e 500 cavalieri spagnoli che giunsero a Palermo nell’agosto del 1209. I cinquecento cavalieri spagnoli soggiacquero quasi tutti due mesi dopo a causa di una epidemia ed i “500 cavalli iberici” (la razza equina spagnola come noi la conosciamo oggi era anchessa ben lungi dall’essere formata) in gran parte stalloni, restarono in Sicilia a disposizione di Federico e dell’isola.
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(Sicamber)
Per sfuggire alla pestilenza, che aveva decimato gli spagnoli e molti isolani e che procurava diarrea e morte certa per dissenteria, Federico si ritirò con la moglie e la corte in campagna in una zona indenne nei pressi di Catania.
Probabilmente fu li che deve essergli maturata l’idea di intraprendere un conflitto a fondo con l’in-terno dell’Isola, per assoggettarne gli ultimi territori ribelli, forte della sua grande mobilità militare, dovuta alla nuova cavalleria di cui disponeva.
Ed è probabilmente così che ha diffuso “stalloni miglioratori” all’interno dell’isola e nelle zone più impervie dell’entroterra.
Allo stesso modo (e cioè in conseguenza ai suoi spostamenti) Federico II ha introdotto cavalli Siculo-Orientali e Siculi in Germania e per interscambio (seppur numericamente irrilevante) cavalli nordici e tedeschi in Sicilia e Puglia al suo rientro.
Innumerevoli altri episodi certi e storicamente documentati sono ascrivibili al periodo spagnolo sull’isola (in riferimento all’introduzione di cavalli Iberici del periodo), così come al periodo francese, al periodo post-garibaldino e piemontese col regno d’Italia, al periodo fascista e da ultimo al periodo italiano repubblicano a partire dal 15 maggio 1946, anno in cui la Sicilia divenne regione autonoma in seno allo stato italiano. Dal 1864 (anno di istituzione del “Deposito Cavalli Stalloni” di Catania) al 1925 (anno in cui furono create le speciali “Stazioni Selezionate Cavalline”) non si dispone di materiale bibliografico certo, poiché a causa degli eventi bellici, gran parte dell’archivio dell’Istituto di Incremento Ippico di Catania è purtroppo andato distrutto.
E’ però certo che dal 1900 al 1925, nessun stallone di altre razze, se non l’autoctono Sanfratellano, fu impiegato nella zona.
Storicamente, a partire dal 1925 nella zona tipica di allevamento del Sanfratellano furono introdotti stalloni di derivazione inglese (sangue non presente nella razza sino a questo momento) ed orientale di considerevole mole, perché a detta di alcuni, l’autoctono Sanfratellano, si presentava con una statura modesta e con alcuni difetti di base che occorreva “correggere”.
L’impiego di detti stalloni pare sia stato oculato e non indiscriminato ed è durato complessivamente una decina d’anni, forse modificandone i difetti pur senza intervenire sulle forme.
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(Cavallo che riceve la forza da Eolo, dio del vento)
A partire dal 1934/5 nelle stazioni selezionate furono introdotti sette stalloni, di cui uno derivato orientale (Bricco), due maremmani (Uscocco e Zello) e quattro derivati inglesi (Dardo, Errante, Elini, Maccarese), con lo scopo, più o meno motivato di fissarne i caratteri acquisiti.
I migliori prodotti maschi di questi stalloni, furono acquistati dall’Istituto di Incremento Ippico di Catania per essere a loro volta impiegati sino al 1958 per il meticciamento interrazziale e concorsero quindi a completare la formazione dell’attuale modello del cavallo Sanfratellano. Tra questi stalloni, ricorderemo “Ottimo”, “Obrano” (o Orbano?), “Oricello”, “Ponte”, “Totò” e “Biancofiore”, facilmente individuabili nelle genealogie degli attuali Cavalli di San Fratello.
Durante questo periodo del meticciamento selettivo, fu ridata una “spruzzata” di sangue maremmano in alcune famiglie del Sanfratellano (con la motivazione di rettificare le “pastoie cedevoli” lasciate da Maccarese e dai suoi eredi) introducendo in razza gli stalloni Zolfo, Zero, Zimbello (maremmani del periodo).
Successivamente, l’allora direttore dell’Istituto di Incremento Ippico di Catania (con un intervento se non discutibile, quantomeno opinabile) Col. Paolo Marsala, importò dall’Ungheria ben cinque Stalloni Nonius (4 morelli ed un baio), al fine (a suo dire) di dare uniformità al mantello e aumentare le masse muscolari del Sanfratellano.
Tali stalloni Nonius ungheresi furo impiegati per circa un decennio 1959-1969.
A partire dal 1968-1969 furono nuovamente immessi in razza due stalloni maremmani di notevole mole e di buona morfologia: Caino e Castello, proseguendo quel lavoro di incrocio forse opinabile, ma mai interrotto, almeno in alcune famiglie del Sanfratellano, praticato unitamente
al meticciamento selettivo interrazziale
Il patrimonio genetico di base del Sanfratellano è fortunatamente (o fortunosamente) risultato talmente potente, da uscire quasi indenne (per ciò che ci è dato di capire in assenza di studi scientifici-genetici approfonditi) da qualsiasi manipolazione attuata dall’uomo negli ultimi anni.
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D’altronde, secoli di selezione naturale effettuata dall’ambiente naturale dei Nebrodi, in cui il cavallo vive brado (unica razza in Europa e tra le poche al mondo che a tutt’oggi vive libera nel proprio ambiente d’origine primordiale in un numero così consistente di capi) e meticciamento più o meno naturale, ma lento, ed oculato nel tempo (grazie anche al fatto che la Sicilia è un’Isola e che i Nebrodi sono un’isola sull’Isola) hanno talmente stabilizzato le caratteristiche genetiche ed ereditarie del Sanfratellano, da renderlo per certi aspetti unico ed estremamente interessante: una sorta di “riassunto storico” della storia delle razze equine siciliane ed un vero e proprio “trattato” di genetica equina insulare. Un “testo” antico vivente, scritto dalla natura, dall’uomo e dalle vicende storiche, che più che raro è da considerare unico ed irripetibile, e perciò da conservare e da utilizzare in maniera avveduta e parsimoniosa per il futuro.
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Il Cavallo Sanfratellano dei Nebrodi è una preziosa eredità della storia che la Sicilia tutta e non solo il territorio dei Nebrodi, di buon grado, offre alle proprie giovani generazioni affinchè la propongano agli appassionati di equitazione, di zootecnia, di storia e di arte di ogni dove, nella certezza di essere in possesso di uno dei patrimoni di zootecnia e genetica equina più preziosi
al mondo. Da sempre, a memoria storica documentata ed a memoria umana recente, in Sicilia nella zona dei Nebrodi si allevano ingenti quantitativi di cavalli allo stato brado.

Il nostro augurio e la nostra speranza è che ciò che il passato e la storia ci hanno consegnato, ogni
generazione lo sappia gelosamente custodire per consegnarlo alla successiva, così come i nostri avi ci hanno insegnato a fare.
Grazie a ciò, oggi è possibile ad ognuno visitare la Sicilia ed immergersi nell’ambiente naturale del Parco dei Monti Nebrodi e galoppare con la fantasia, ma anche nella realtà, con un grande branco di cavalli bradi di oltre 5.000 capi, che in ogni stagione dell’anno e da mille anni lanciano i loro liberi nitriti al vento, al sole ed alla luna insulare, rammentando agli uomini, all’Europa ed al mondo la loro storia, la loro miracolosa sopravvivenza e ciò che più conta: la loro odierna presenza ed esistenza.

Tiziano Bedonni

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Cavalli dell’interpretazione di Giorgio De Chirico

2 Ottobre 2009

Autore:

admin


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