TEMPO CHE FU E TEMPO CHE SARA’ – LA BAMBOLA VENUTA DA LONTANO – AL NEBRIS SI PARLA DI VIOLENZA DI GENERE.
QUANTE PRINCIPESSE DOVRANNO ANCORA MORIRE?
Le PRINCIPESSE PERO’ CONTINUANO A MORIRE per mano di MOSTRI che la legge si ostina a considerare ancora esseri umani da rieducare, quando invece dovrebbero essere messi in condizione di non nuocere definitivamente e le loro nefandezze additate a deterrente.
Nessuno è proprietà di nessuno.
Questo, in sintesi, il filo conduttore della presentazione, nei giorni scorsi, al Nebris Rifugio del Parco, sotto monte Soro, davanti a un numeroso e qualificato pubblico, del libro di Serafina La Marca “La bambola venuta da lontano”, vero e proprio capolavoro reale ed introspettivo sulla violenza di genere. Assieme al libro di La Marca presentato anche “Tempo che fu e tempo che sarà” di Rosalia Ricciardi e Mary Manasseri. Al tavolo Carmelo Emanuele, Felicia lo Cicero, Enzo Caputo, Ciro Carroccetto e Giuseppe Mazzullo. “Il libro di Ricciardi, scritto in gallo italico – ha detto lo studioso locale Ciro Carroccetto – ha il merito di rendere il sanfratellano una lingua che poi si può scrivere, per gettare le basi per una futura grammatica gallo-italica. Un merito non da poco se si considera che il libro, su cui è intervenuta dalla provincia di Varese anche la coautrice Mary Manasseri, racchiude cento anni di vita locale e spazia sul paese a 360 gradi. Foto che raccontano di come già a fine 800 era stata immortalato il paese dal fotografo Benedetto Miraglia che, dalle notizie che abbiamo – ha detto Carmelo Emanuele – può essere considerato, fino a questo momento, il primo fotografo del paese. “Il mio scritto – ha concluso Rosalia Ricciardi – vuole far conoscere a tutti, specie ai giovani, come eravamo e come siamo, per rivalutare la nostra identità e le nostre tradizioni, esserne fieri e ripartire da esse, invertendo la tendenza dopo il declino degli anni ’80 che ha investito un po’ tutte le realtà nebroidee.
Eravamo persone solidali, torniamo a questa bella eredità.” E la bella eredità traspare nelle poesie di Giuseppe Mazzullo, pregne di significato anche quando si abbandonano al faceto, arricchite dalle canzoni della cantautrice nasitana Oriana Civile che non ha fatto mancare, tra i brani impegnati, un tocco di “allusive ed equivocanti note”. Si chiude la prima parte della serata. Piange la chitarra di Oriana, l’argomento diventa di brutale attualità. Il sangue delle donne scorre a fiumi. La bambola venuta da lontano di Serafina la Marca è illuminante. Introduce, quasi fosse un fuori programma, Rosalia che parla dei segnali che non vanno sottovalutati. Ciro Carroccetto tratteggia la protagonista, la sua ribellione, il disperato viaggio verso la salvezza, il posto in aereo strappato dalla disperazione cui tutti si inchinano. Sulla pista una lampeggiante blu che non perdonerà certo ignoranza e senso del possesso, senza andare tanto per il sottile. Ed è forse quella luce blu che rappresenta lo spiraglio nella grotta oscura dove ogni donna vittima di violenza si trova. A sottolinearlo è Carmelo Emanuele, che indica come tutto sta nel seguire quella luce fioca che indica l’uscita dal tunnel delle donne Bambole, senza volontà né aspettative, strette tra formichine, fantasmi blu e il lupo (le figure immaginarie citate nel libro).
Ma le donne – per Mary Manasseri – non sono bambole e trovano il coraggio di scegliere il cambiamento, cercando disperatamente ogni via d’uscita possibile. A ribellarsi all’ottusa mediocrità e trovare tra mille peripezie la sofferta via d’uscita è stata Benedetta e la sua bambola, i personaggi principali del libro di La Marca. Un sogno ai confini del mondo dove la forza arriva a cavallo del cielo? Forse. La realtà, però, e ben diversa: per una storia a lieto fine ce ne sono tante intrise di orrore e di morte. Due volumi diversi? Forse, ma la traccia è unica per il Centro Studi Paolo e Rita Borsellino che ha patrocinato l’evento. “Essi descrivono e complementano storie e vissuti che hanno caratterizzato una comunità di cittadine e cittadini, si richiamano l’uno nell’altro, indicano reciprocità, forse si completano, come in una endiadi. Nel caso de La bambola venuta da lontano, arricchito dall’elemento fantastico, emerge tutto l’universo interiore di Benedetta, emerge l’ontogenesi di una donna, dalla sua infanzia sino al riscatto personale e civile, sino all’affermazione della sua libertà. Una storia che parla a tutti e tutte, poiché la lotta per la libertà delle donne non rappresenta solo un fatto personale, ma assume una dimensione collettiva, dove il personale diventa politico”. A leggere queste toccanti righe è stata la poetessa Serafina Miraglia, mentre a chiudere la serata è stata Antonella Carrini, socio fondatore e “Tipa tosta” della Volere Volare e con lei Raffaella Nardone e Rosalia Di Franco che hanno “consegnato alla storia” la serata.
Finisce la serata.
Le PRINCIPESSE ITALIANE PERO’ CONTINUANO A MORIRE per mano di MOSTRI che la legge si ostina a considerare ancora esseri umani da rieducare, quando invece dovrebbero essere messi in condizione di non nuocere definitivamente e le loro nefandezze additate a deterrente. QUANTE PRINCIPESSE DOVRANNO ANCORA MORIRE fino a che le campagne di sensibilizzazione faranno qualche effetto?
Tante, troppe. Bisogna far si che il No, piaccia o meno, venga accettato e il SI venga Guadagnato.
Serafina: – Finzione o realtà?
Enzo Caputo
San Fratello, località Muto, 29 giugno 2024 Carissime, carissimi, il Centro Studi Paolo e Rita Borsellino, nella persona del suo presidente Vittorio Teresi e dei componenti del Consiglio direttivo, ringrazia gli organizzatori di questa importante giornata di riflessione in occasione della presentazione dei due volumi “La bambola venuta da lontano” di Serafina La Marca e il saggio “Tempo che fu e tempo che sarà” di Lia Ricciardi e Mary Manasseri. I due volumi descrivono e complementano storie e vissuti che hanno caratterizzato una comunità di cittadine e cittadini, si richiamano l’uno nell’altro, indicano reciprocità, forse si completano, come in una endiadi. Nel caso della bambola venuta da lontano, arricchito dall’elemento fantastico, emerge tutto l’universo interiore di Benedetta, emerge l’ontogenesi di una donna, dalla sua infanzia sino al riscatto personale e civile, sino all’affermazione della sua libertà. Una storia che parla a tutti e tutte, poiché la lotta per la libertà delle donne non rappresenta solo un fatto personale, ma che assume una dimensione collettiva, dove il personale diventa politico. Se è vero che la storia sociale e politica della Sicilia annovera le peggiori nefandezze, è altrettanto vero che da questa terra è anche partito un moto di ribellione per l’affermazione dei diritti e la crescita civile della società. Si pensi alla vicenda di Franca Viola, di Alcamo in provincia di Trapani: rapita, violentata, segregata e costretta, secondo i rapitori, ad amare una persona verso cui non nutriva alcun sentimento. Si oppose al matrimonio riparatore e la sua battaglia, anche processuale, ha innescato un processo di cambiamento sociale e politico irreversibile. Anche se solo tardivamente, con la Legge del 5 agosto 1981 n. 442 “Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore” si arriverà finalmente all’abolizione delle nozze riparatrici e del deli Sino a quel momento lo Stato considerava la donna una proprietà personale dell’uomo e lo stupro un reato contro la morale e non contro la persona. Ed è proprio notizia di questi ultimi giorni l’elezione della prima sindaca a Cinisi, comune del palermitano dove Peppino Impastato si è ribellato alla mafia dentro e fuori casa. Vera Abbate, la neo sindaca, appena eletta ha dedicato l’importante successo elettorale alla sua mamma: Maria Rosa Vitale, una donna che 26 anni prima di Franca Viola si rifiutò al matrimonio riparatore e la cui perseveranza, negli anni ’60, la portò ad assumere ruoli politici in consiglio comunale e come assessora di Cinisi. La nostra Associazione, sin dalla sua costituzione è impegnata per promuovere percorsi di inclusione contro ogni forma di discriminazione. Temi particolarmente cari a Rita Borsellino, nostra ispiratrice, fondatrice e presidente del Centro studi sino all’ultimo dei suoi giorni. In particolare con il progetto A scuola di genere ci siamo impegnati per comprendere meglio il fenomeno della violenza di genere. Abbiamo percorso un itinerario che ha attraversato le scuole siciliane, ascoltato le voci di migliaia studenti e studentesse, analizzato le loro risposte e constatato, purtroppo, che stereotipi e luoghi comuni sono ancora oggi la reale misura di quanto il problema sia profondamente radicato nelle coscienze. Tra i primi interventi educativi cui è chiamata la scuola vi è proprio una riflessione tanto urgente quanto radicale intorno agli stereotipi sessuali maschili e femminili che spesso finiscono per definirci, delimitando la percezione di noi stessi, delle nostre possibilità e capacità. Siamo infatti condizionati, senza spesso averne reale consapevolezza, in immagini fortemente limitanti che interpretano il maschio come soggetto forte, attivo, tendenzialmente libero di agire sul mondo. La donna, al contrario, è più sovente percepita come soggetto passivo, tranquillo, fragile, emotivo. La possibilità di autorappresentarsi liberamente, oltre le etichette prodotte da una cultura sessista, costituisce non soltanto un’importante conquista che merita di essere costantemente tutelata e difesa, ma altresì una sfida educativa che impone di esercitare una vigilanza costante intorno a tutte le potenziali dissimmetrie presenti nella vita di ognuna e ognuno. Fra le numerose donne siciliane che si sono battute per la crescita della nostra terra – bellissima e disgraziata, come ha avuto modo di dire il giudice Paolo Borsellino – si pensi anche all’esempio vivo di Rita, Rita Borsellino. Si pensi a lei non con nostalgia ma con la coscienza di cosa sia venuto a mancare dopo. La storia di Rita mi ricorda l’immagine iconologica della Temperanza: il dominio della volontà sugli istinti, la volontà di mantenere sempre i desideri entro i limiti dell’onestà. Non odio, non vendetta, ma giustizia. E guardando alle scelte intraprese in 26 anni di impegno sociale e politico, dal 1992 sino al 2018, emerge sempre la stessa domanda, che Rita si poneva dopo uno sconforto: “Ma gliela devo dare vinta? Nella sua semplicità conteneva tutta la sua forza di trasformare il dolore, l’amarezza, la tentazione di cedere alla supina sottomissione, in energia cap pace di produrre cambiamento e processi di liberazione collettiva. Così è stato dopo la strage di via D’Amelio e l’impegno nelle scuole per tenere viva la memoria del fratello Paolo; così è stato con l’impegno per la nascita e lo sviluppo di Libera, la nascita e lo sviluppo della Carovana antimafie dell’Arci e quindi l’impegno in politica a partire dal 2006, con la candidatura alla presidenza della Regione siciliana contro Cuffaro, che, si ricordi, ha la sua gestazione nella città di Ginevra, proprio nel corso di una tappa della Carovana internazionale antimafia. Ognuna delle persone che è stata protagonista di questa altra storia è custode di memorie e ricordi che ci legano in maniera indissolubile a lei. In questo senso Enzo Caputo ne è certamente un autorevole rappresentante. Ed è a lui che lascio la scelta delle parole giuste e mi scuso per la mia, la nostra, assenza a questa importante serata. A tutte e tutti i partecipanti rivolgiamo i nostri migliori auguri per la riuscita dell’iniziativa e in particolare ad Oriana Civile, la cui esibizione artistica è stata molto apprezzata anche nel corso di una edizione di Legami di memoria, lo storico evento organizzato a Palermo in memoria della strage di via D’Amelio e che proprio in questi giorni ci vede impegnati per i preparati per i preparativi. Un carissimo saluto e buon lavoro.
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