Come preannunciato nei giorni scorsi, il sindaco Basilio Caruso, ha dato il via all’iter amministrativo utile all’intitolazione di due strade di Sant’Angelo di Brolo a Peppino Impastato e Giorgio Ambrosoli.
Di seguito il decreto sindacale ed una nota sulle vittime.
Premesso che si rende necessario, anche ai fini degli adempimenti toponomastici e topografici, la denominazione di una pubblica via;
Vista la legge 8 giugno 1990, n. 142, recepita in Sicilia con la legge regionale 48/91;
Vista la regionale 26 agosto 1990 n. 7, ed in particolare l’Art. 13, come integrato dall’art. 41 commi 1 e 2, della L.R. 26/1993
Viste le norme vigenti relative alle vittime di mafia;
Vista la legge 18/10/2001, n. 3;
Vista la legge 05/06/2003, n. 131
Di intitolare la strada che dalla caserma dei Carabinieri, costeggiando il campo sportivo, conduce all’edificio comunale che ospita la Scuola materna e l’Asilo nido, a PEPPINO IMPASTATO, vittima di mafia, assassinato da mano criminale il 9 maggio 1978 e a GIORGIO AMBROSOLI, ucciso a Milano l’11 luglio 1979, per aver assolto all’incarico di commissario liquidatore di un Istituto di Credito, con inflessibile rigore e costante impegno.
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L’Area Servizi alla Persona, lo Staff Servizi Manutentivi e il servizio di Polizia Municipale, procederanno a quanto, anche materialmente, necessario per la esecuzione del presente.
La pubblicazione del presente Decreto all’Albo pretorio e nel sito internet del Comune. ÂÂ
Basilio Caruso
PEPPINO IMPASTATO
Nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La sua famiglia era bene inserita negli ambienti mafiosi locali: si noti che una sorella di Luigi ha sposato il capomafia Cesare Manzella, considerato uno dei boss che individuarono nei traffici di droga il nuovo terreno di accumulazione di denaro. Frequenta il Liceo Classico di Partinico ed appartiene a quegli anni il suo avvicinamento alla politica, particolarmente al PSIUP, formazione politica nata dopo l’ingresso del PSI nei governi di centro-sinistra.
Assieme ad altri giovani fonda un giornale, “L’Idea socialista”, che dopo alcuni numeri, è stato sequestrato: di particolare interesse un servizio di Peppino sulla “Marcia della protesta e della pace”, organizzata da Danilo Dolci nel marzo del 1967: il rapporto con Danilo, sia pure episodico, lascia un notevole segno nella formazione politica di Peppino. Nel 1975 organizza il Circolo “Musica e Cultura”, un’associazione che promuove attivitàculturali e musicali e che diventa il principale punto di riferimento por i giovani di Cinisi. All’interno del Circolo trovano particolare spazio ìl “Collettivo Femminista” e il “Collettivo Antinucleare”.
Il tentativo di superare la crisi complessiva dei gruppi che si ispiravano alle idee della sinistra “rivoluzionaria” , verificatasi intorno al 1977 porta Giuseppe Impastato e il suo gruppo alla realizzazione di Radio Aut, un’emittente autofinanziata che indirizza i suoi sforzi e la sua scelta nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale.
Nel 1978 partecipa con una lista che ha il simbolo di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali a Cinisi. Viene assassinato il 9 maggio 1978, qualche giorno prima delle elezioni e dopo l’esposizione di una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio, operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo è dilaniato da una carica di tritolo posta sui binari della linea ferrata Palermo-Trapani.
Le indagini sono, in un primo tempo orientate sull’ipotesi di un attentato terroristico consumato dallo stesso Impastato, o, in subordine, di un suicidio “eclatante”. Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l’archiviazione del “caso Impastatoâ€Â, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilitàdi individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilitàdei mafiosi di Cinisi alleati dei “corleonesiâ€Â. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un’istanza per la riapertura dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, con la quale ha richiesto che fosse interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi.
Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Salvatore Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell’omicidio, assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l’udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l’Ordine dei giornalisti, chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia all’udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Il 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgeràcon il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell’Ordine dei giornalisti.
Nel 1998, presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 Dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilitàdi rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L’11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all’ergastolo. Entrambi sono successivamente deceduti.
GIORGIO AMBROSOLI
Giorgio Ambrosoli è nato a Milano il 17 ottobre 1933 ed è stato un avvocato italiano, esperto in liquidazioni coatte amministrative. Fu assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attivitàaveva ricevuto incarico di indagare. Nel 1971 si addensarono sospetti sulle attivitàdi Sindona. La Banca d’Italia, per mano del Banco di Roma, investigò sulle attivitàdel banchiere nel tentativo di non fare fallire gli Istituti di credito da questi fondati (Banca Unione e Banca Privata Finanziaria). I motivi delle scelte dell’allora Governatore Carli erano chiaramente tese a non provocare il panico nei correntisti. Così fu accordato un prestito a Sindona, voluto anche in virtù della benvolenza dell’Amministratore delegato, Mario Barone. Quest’ultimo fu cooptato come terzo amministratore, addirittura modificando lo statuto della Banca stessa, che ne prevedeva due. Fu accordato tale prestito con tutte le modalitàe transazioni necessarie e fu incaricato il Direttore Centrale del Banco di Roma, Giovanbattista Fignon, di occuparsi della cosiddetta vicenda. Le Banche di Sindona furono fuse e prese vita la Banca Privata Italiana, di cui il Fignon divenne Vice Presidente e Amministratore Delegato.
Al contrario di tutte le aspettative, Fignon andò a Milano a rivestire detta carica e capì immediatamente la gravitàdella situazione. Stese numerose relazioni, capì le operazioni gravose messe in piedi da Sindona e dai suoi collaboratori, tanto che ne ordinò l’immediata sospensione. Ma a Roma i poteri forti forse non gradirono una così massiccia operazione di pulizia, sebbene nei pochi mesi di tale gestione emersero innumerevoli aspetti che potevano indurre ad un salvataggio. Fignon fece egregio lavoro ma non poté bastare e nel settembre del 1974 consegnò a Giorgio Ambrosoli la relazione sullo stato della Banca. Egli continuò nel suo operato, tanto da essere citato anche nelle agende dell’avv. Ambrosoli, che nulla poteva immaginare di ciò che sarebbe seguito. Ciò che emerse dalle investigazioni indusse, nel 1974, a ordinare un commissario liquidatore. Per il compito fu scelto proprio Giorgio Ambrosoli. In questo ruolo, l’avvocato milanese assunse la direzione della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto, principiando dalla società“Fasco”, l’interfaccia fra le attivitàpalesi e quelle occulte del gruppo. Nel corso dell’analisi svolta dall’avvocato, emersero le gravi irregolaritàdi cui la banca si era macchiata e le numerose falsitànelle scritturazioni contabili. Contemporaneamente a questa opera di controllo Ambrosoli, cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione. Queste miravano sostanzialmente a ottenere che avallasse documenti comprovanti la buonafede di Sindona. Se si fosse ottenuto ciò, lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d’Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell’Istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile. Ambrosoli non cedette, sapendo di correre notevoli rischi. Nel 1975 indirizzò una lettera alla moglie in cui scrisse: “È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di far qualcosa per il Paeseâ€Â.
Ai tentativi di corruzione fecero presto seguito minacce esplicite. Malgrado ciò, Ambrosoli confermò la necessitàdi liquidare la banca e di riconoscere la responsabilitàpenale del banchiere.
Nel corso dell’indagine emerse, inoltre, la responsabilitàdi Sindona anche nei confronti di un’altra banca, la statunitense Franklin National Bank, le cui condizioni economiche erano ancora più precarie. L’indagine, dunque, vide coinvolta non solo la magistratura italiana, ma anche l’FBI.
In un clima di tensione e di pressioni anche politiche molto forti, Ambrosoli concluse la sua inchiesta. Avrebbe infine dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale il 12 luglio 1979. La sera dell’11 luglio 1979, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, fu avvicinato sotto il suo portone da uno sconosciuto. Questi si scusò e gli esplose contro quattro colpi di 357 Magnum.
Ad ucciderlo fu William J. Aricò, un sicario fatto venire appositamente dall’America e pagato con 25 mila dollari in contanti ed un bonifico di altri 90 mila dollari su un conto bancario svizzero.
Nessuna autoritàpubblica presenziò ai funerali, ad eccezione della sola Banca d’Italia.
Il 18 marzo 1986 a Milano, Michele Sindona e Roberto Venetucci (un trafficante d’armi che aveva messo in contatto Sindona col killer) furono condannati all’ergastolo per l’uccisione dell’avvocato Ambrosoli.