di Anna Laura Bussa e Silvia Barocci
ROMA – Carriere separate di giudici e pm; due Csm presieduti dal capo dello Stato; obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale secondo “i criteri” stabiliti dalla legge; componenti togati del Csm eletti tra candidati estratti a sorte; magistrati responsabili di tasca propria come i medici e al pari dei funzionari della Pubblica amministrazione.
Questi, in sintesi, i punti salienti della riforma costituzionale della giustizia composta da 18 articoli approvata oggi dal Consiglio dei ministri.
SEPARAZIONE CARRIERE:
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano lo definisce il ‘cardine’ della riforma. I giudici costituiscono un “ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti soltanto alla legge”. I Pm sono invece un “ufficio” organizzato secondo “le norme dell’ordinamento che ne assicurano l’autonomia e l’indipendenza”.
OBBLIGO AZIONE PENALE MA CON LIMITI.
Il Pm continuerà ad avere l’obbligo di esercitare l’azione penale ma “secondo i criteri stabiliti dalla legge”.
RESPONSABILITA’ DEI MAGISTRATI:
Le toghe potranno essere chiamate a rispondere di tasca propria dal cittadino per errori commessi, come avviene per i medici. E infatti la bozza prevede che i magistrati sono “direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione dei diritti, al pari degli altri funzionari e dipendenti dello Stato”. Si aggiunge poi che “nei casi di ingiusta detenzione o di altra indebita limitazione della libertà personale, la legge regola la responsabilità civile dei magistrati”. Nel caso in cui le toghe non riescano a far fronte alla richiesta di risarcimento da soli, lo Stato potrà intervenire.
DOPPIO CSM:
Ci sarà un Csm per i giudici e uno per i Pm. Entrambi presieduti dal Capo dello Stato. Tutti e due saranno composti per metà da laici e per metà da togati. Del Csm dei giudici farà parte di diritto il primo presidente della Cassazione, mentre gli altri componenti saranno per metà giudici votati sulla base del sorteggio degli eleggibili (con l’intenzione di frenare il correntismo della magistratura associata) e per metà ‘laici’ eletti da Parlamento. Nel Csm dei Pm siederà il Pg della Cassazione. E il vicepresidente sarà eletto tra i laici. I componenti elettivi di entrambi i Csm dureranno in carica 4 anni e non saranno più rieleggibili.
AI CSM VIETATI ATTI DI INDIRIZZO POLITICO.
I due Csm “non possono adottare atti di indirizzo politico né esercitare attività diverse da quelle previste dalla Costituzione”.
ALTA CORTE DI DISCIPLINA:
Come il Csm, anche la nuova Corte di disciplina sarà divisa in due sezioni: una per i giudici e una per i Pm. I componenti di ogni sezione saranno nominati per metà dal Parlamento in seduta comune e per metà da tutti i giudici e Pm. Il presidente sarà eletto tra i laici così come i vicepresidenti di entrambe le sezioni. Anche nei procedimenti disciplinari sarà assicurato il principio del ‘giusto processo’. Contro i provvedimenti della Corte è ammesso ricorso per Cassazione per motivi di legittimità.
POLIZIA GIUDIZIARIA:
I magistrati potranno disporre dell’autorità giudiziaria “secondo le modalità stabilite dalla legge”.
MAGISTRATI ONORARI:
Per andare incontro alla richiesta della Lega di una maggiore partecipazione del popolo all’ amministrazione della giustizia, cambia l’art.106 della Costituzione per prevedere la nomina anche elettiva di magistrati onorari con funzioni di Pm (ora questa possibilità é limitata ai soli giudici).
INAPPELLABILITA’ SENTENZE ASSOLUZIONE:
L’inappellabilità delle sentenze di assoluzione introdotta a suo tempo dalla ‘legge Pecorella’ poi bocciata dalla Corte Costituzionale torna ora in Costituzione: all’art 111 sarà aggiunto un comma secondo cui “contro la sentenza di condanna è sempre ammesso appello salvo che la legge disponga diversamente”, mentre “le sentenze di proscioglimento sono appellabili soltanto nei casi previsti dalla legge”.
POTERE ISPETTIVO GUARDASIGILLI:
In Costituzione, l’art.110 si occupa della funzione ispettiva del Guardasigilli e del suo compito di riferire ogni anno alle Camere sullo stato della giustizia, sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di indagine. Restano confermate le sue attribuzioni relative all’organizzazione e al funzionamento dei servizi della giustizia.
NON SI APPLICA AI PROCESSI IN CORSO:
E’ stata introdotta la norma transitoria secondo la quale i principi contenuti nella legge non si applicano “ai procedimenti penali in corso”.
PRO E CONTRO
Nella serata di giovedì il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha risposto al fuoco incrociato che si è scatenato contro la riforma della giustizia. Per il Guardasigilli, quelle dell’Anm sono “critiche precotte. Credo che la storia di questi 20 anni si sia incaricata di mostrare che non c’è nessuna forma di soggiacenza del potere della magistratura al potere legislativo o a quello esecutivo”, ha spiegato al convegno Riformare la giustizia non è reato, organizzato dall’associazione Magna Carta. Replicando poi alle censure della Anm sull’assoggettamento all’esecutivo e sul tentativo di condizionare l’autonomia e l’indipendenza delle toghe, Alfano ha citato “l’infarto” della passata legislatura con l’arresto della moglie “del mio predecessore”. Riferendosi al caso di Clemente Mastella, che proprio per questo episodio rassegnò le sue dimissioni dal governo Prodi, il Guardasigilli ha infatti sottolineato: “L’ultimo precedente è l’infarto della passata legislatura con l’arresto da parte di un magistrato che andava in pensione il giorno dopo e di un gip che si è dichiarato incompetente della moglie del mio predecessore”.
“NON E’ TESTO IMMUTABILE” – Alfano ha poi sottolineato che il testo “non è immutabile. Riteniamo che abbia una solidità”, ha aggiunto. “Esprime una visione che parte dal presupposto che un indagato è un indagato e non un colpevole e che gli vanno asiscurate le guarentigie che le democrazie liberali assicurano ai cittadini processati”. Il Parlamento, ha specificato, “serve a migliorare i testi del governo”.
“NO A PM SOTTO ESECUTIVO” – Infine il ministro ha dedicato una battuta a uno dei punti più discussi della riforma. “L’idea di porre il pm sotto un esecutivo di sinistra ci atterrisce”, ha spiegato. “Non intendiamo, non intendevamo e non intenderemo porre il pm sotto l’esecutivo. L’idea che qualche esponente dell’opposizione come ministro della Giustizia di un altro esecutivo possa avere sotto di se la magistratura ci atterrisce. Stiano dunque tranquilli i magistrati”.
ANM E DIPIETRISTI – Dopo la presentazione del testo di riforma della giustizia, toghe, opposizione e sinistra hanno subito eretto le barricate contro il provvedimento. In prima linea nella guerra di trincea il sindacato dei magistrati, l’Anm, secondo cui questa è “una riforma punitiva” fatta “contro i giudici” e che “riduce le garanzie per i cittadini”: queste le parole del segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara. Per i barricaderi dell’Idv ha parlato il capogruppo alla Camera, Massimo Donadi: “Con questa pessima riforma della giustizia non ci sarebbe mai stata Mani Pulite. Berlusconi lo sa e sta cercando di far approvare queste nuove norme per salvare le cricche e intimidire i magistrati”. Così Donadi, che aggiunge: “Berlusconi parla di riforma ma in realtà vuole solo sottomettere la magistratura alla politica, vuole che sia la Casta a decidere quali reati perseguire e vuole controllare i giudici. Non è una riforma, ma uno scempio del diritto italiano. Impediremo che l’approvazione di una controriforma che porterebbe allo sfascio delle istituzioni”.
GRANATA – Quindi il finiano Fabio Granata, che tira in ballo Borsellino: “Sulla riforma della giustizia si discuterà in sede parlamentare. Mi sembra comunque”, prosegue il vicepresidente della commissione antimafia, “che presentarla, da parte del premier, sostenendo che se fosse stata in vigore non ci sarebbe stata Mani pulite, e che il pm per parlare con il giudice dovrà fissare l’appuntamento e battere con il cappello in mano, non sia un buon inizio. Una riforma siffatta”, conclude l’esponente finiano, “non può trovare il consenso di una Destra repubblicana e legalitaria che ha nel suo pantheon Paolo Borsellino, un grande pm e un grande giudice”. Nel partito di Fini, però, il parlamentare Giuseppe Consolo, intervistato dal direttore di Libero, Maurizio Belpietro, afferma che “sulla riforma si può trattare” e che “lo sdoppiamento del Csm è necessario”.
LA SINISTRA – Dopo il ‘niet’ pronunciato mercoledì da Bersani ancor prima di vedere il testo, della riforma parla la presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro: “Ci confronteremo in Parlamento ma questa è una non riforma e non mi sembra che sia utile a far funzionare meglio la giustizia italiana. Mi pare”, prosegue la Finocchiaro, “che risenta molto di una visione ideologica figlia del pensiero berlusconiano che cerca di alterare l’equilibrio tra i poteri dello Stato, con il tentativo di porre i pm sotto il controllo del governo. Ma per noi il principio costituzionale dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura continua ad essere un valore irrinunciabile. Si vuole colpire l’idea, liberale, moderna ed europea, di una magistratura destinata a esercitare in modo indipendente, e soggetta solo al rispetto della legge, il controllo della legalità per cedere il passo all’ipotesi di una magistratura controllata dal potere esecutivo. E’ un principio sbagliato che contrasteremo in Parlamento e nel Paese”. Tra le voci della sinistra, torna a farsi sentire quella del redivivo Oliviero Diliberto, portavoce nazionale della Federazione della sinistra: “La pseudo riforma licenziata dal Consiglio dei ministri sulla giustizia non è altro che un’ennesima legge ad personam, scritta sotto diretta dettatura di un premier oramai disperato”
TERZO POLO – Chi non chiude alla riforma è il Terzo polo, pur rilevando “forti perplessità” su alcuni punti “che dovranno essere risolte. Il Nuovo Polo per l’Italia prende atto delle positive affermazioni del Presidente del Consiglio che ha dichiarato chiusa la stagione delle leggi ‘ad personam'”, si legge nella nota diffusa al termine dell’incontro di oggi alla Camera. In Parlamento, si spiega ancora, il Terzo polo “presenterà le proprie proposte nel corso dell’iter parlamentare”.