Ieri pomeriggio la sentenza, davanti al Tribunale di Patti, sezione penale
La fine del sogno di un marchio, simbolo del Made in Sicily
Il Collegio giudicante, composto dai magistrati: Mario Samperi (Presidente), Marialuisa Gullino e Edoardo Zantedeschi (Giudici) ha pronunziato il dispositivo si sentenza sul fallimento della Camiceria Castello, o meglio sulle imprese che intorno a queste roteavano.
Così Giuseppe Pizzino, imprenditore di grande intuito – al di là dell’attuale condanna – è stato ritenuto responsabile dei reati che hanno in un complesso giro di cessioni e vendite – tra merci e aziende – determinato il fallimento fraudolento dell’azienda. Così per lui è maturata la condanna di anni 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Una condanna che prevede le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, dell’interdizione legale per il tempo della pena, nonché l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale per il tempo della pena e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa ex art. 216 1. fall.
Condannate anche le figlie Dorotea e Michela responsabili dei reati, uniti nel vincolo della continuazione in relazione alla fusione per incorporazione della Castello Diffusione srl. Previa concessione delle attenuanti generiche per loro la condanna inflitta è di anni 2 e mesi 1 di reclusione, ma questa è stata tramutata con quella del lavoro di pubblica utilità sostitutivo di pari durata presso il Comune di Brolo secondo gli orari e le modalità da concordarsi con l’ente entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza (erano difese dagli avvocati Carmela Caranna, Eugenio Passalacqua e Renato Rifici).
Gli assolti
Il tribunale ha anche dichiarato di non doversi procedere in ordine ai reati di bancarotta preferenziale per essersi i reati estinti ed ha assolto Leone Agnello, Napoleone Corbino e Angelo Salpietro dai reati rispettivamente contestati perché il fatto non sussiste.
Le motivazione in giorni novanta
Il marchio “Camicia Castello”
Con questa sentenza, poi verranno gli altri gradi di giudizio, si chiude quello che può essere considerato il “sogno” dello sviluppo tessile sui nebrodi, ma anche l’idea imprenditoriale di Pippo Pizzino.
Prima il padre insieme a Nino Milone avevano dato vita alla camiceria “Castello” nata in garaces adibiti a magazzini, lungo la via Libertà. Poi l’azienda venne presa in mano dai tre fratelli Pizzino e nel volgere di pochi anni diventata una solida realtà presente al Pitti Moda, all’Esma” di quella Milano “da bere” della fine degli anni ottanta.
Un marchio in crescita, capace di sviluppare nuove linee ed anche una catena di negozi non solo in Italia che nel tempo restò in mano solo a Giuseppe Pizzino. Un marchio che approdò pubblicitariamente anche sul palco di Sanremo, che utilizzava testimonial nazionali, che attraeva clienti e buoni posizionamenti sul mercato.
Un’epopea, quella del tessile e delle confezioni che in quegli anni divenne trainante per l’economia locale e della zona con un indotto enorme, che faceva economia ed anche i grandi marchi della moda italiana che si facevano fare abiti, felpe, maglie proprio sui nebrodi.
Poi il sogno di Pippo Pizzino naufragò, tra debiti e crisi economica. Lui trasformò la crisi aziendale in forza politica con proteste eclatanti e interviste urlate senza timori riverenziali.
Chiese aiuto al sistema finanziario, senza riceverne, “creò” il grano – una monete di scambio – con un progetto economico-finanziario tutto suo, mentre nel contempo, tra star up e innovazione – diversificava le attività lavorative, distanti dall’epilogo giudiziario di ieri.
I giudici hanno scandagliato le storie dei sette fallimenti a catena, trovando un filo rouge tra le società che è diventato il nesso della bancarotta fraudolenta.
Gli avvocati di quelli che possiamo dire ex imputati, ora assolti, sono Giuseppe Cambria, Francesco Musca, Salvatore Cipriano, Giuseppe Caminiti e Domenico Magistro.