Una sentenza, quella che ieri, 28 marzo, il giudice di Patti, Andra la Spada, ha adottato, nella quale dichiara il non doversi procedere nei confronti dell’imprenditore brolese Calogero Scaffidi Chiarello, assolvendolo per una serie di casi d’imputazione, che certamente farà discutere, e che farà anche giurisprudenza.
Calogero Scaffidi Chiarello – nel dettaglio – in relazione a due dei capi d’imputazione viene assolto “non avendo dovuto la presente azione essere iniziata in quanto già esercitata”, ed ancora via assolto perchè il fatto non sussiste, per altri due capi d’imputazione e per gli altri addebiti a lui mossi per “non aver commesso il fatto” o perchè il fatto non sussiste.
Quel che emerge, e che diventa un dettaglio giuridico rilevante, è che anche per il Tribunale di Patti va accertato indiscutibilmente l’IP di provenienza del messaggio diffamatorio e deve essere certo anche se quanto pubblicato proveniene da un profilo riportante nome e cognome noto (quindi identificabile) è del reale soggetto querelato.
Solo dopo ciò il tutto diventa oggetto di condanna.
In particolare, ma i dettagli si sapranno meglio quando tra trenta giorni saranno pubblicate le motivazioni della sentenza – la non verifica da parte dell’accusa dell’indirizzo IP di provenienza (codice numerico assegnato in via esclusiva ad ogni dispositivo elettronico, all’atto della connessione da una data postazione dal servizio telefonico, onde individuare il titolare della linea) , impedisce la certezza del’identificazione.
Quindi vale la regola in dubio pro reo.
Quellaa frase, garantista, tratta dal Digesto giustinianeo che indica che quando non v’è certezza di colpevolezza è meglio che il giudice accetti il rischio di assolvere un colpevole piuttosto che condannarlo.
Una sentenza che, nella certezza del diritto, lascia molto perplessi, perchè essendo i server, anche quello di facebook, spesso situati in stati dove è difficile dialogare anche se si instaurano rogatorie internazionali, può trasformare gli ambiti di querele, diffamazioni, offese in paludose terre di nessuno, dove può generasi il fenomeno dell’impunità, anche se spesso le cose , almeno in apparenza, sono ovvie.
Mentre di contro, altra giurisprudenza riconosce che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra l’ipotesi aggravata, trattandosi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di soggetti.
Un aggravante che trova la sua ratio nella idoneità del mezzo utilizzato che determina una rapida pubblicizzazione e diffusione perchè, ai giorni nostri, la potenza mediatica è superiore ai tradizionali mezzi di informazione.
Ma tornando alla cronaca giudiziaria di ieri (leggi anche articolo precedente che rammenta il fatto).
Il gup del tribunale di Patti, ha quindi, nel dibattimento a rito abbreviato, assolto Calogero Scaffidi Chiarello – che lo aveva richiesto –
Lui, brolese, imprenditore nel campo della produzione e distribuzione delle bibite gassate, domiciliato a Torrenova, era difeso dall’avvocato, Carmelo Occhiuto. che argomentando le sue tesi l’ha fatto assolvere sia perché il fatto non sussiste – in alcuni capi d’imputazione – che e per non aver commesso il fatto.
Inoltre il giudice, per due capi di imputazione, ha disposto il non doversi procedere, perché le vicende sono oggetto di altro procedimento.
Erano infatti tredici i capi di imputazione a carico di “Calogero Scaffidi”, che spaziavano dalla diffamazione allo stalkin, secondo la querela al tempo effettuata dal vicesindaco brolese Gaetano Scaffidi Lallaro, costituitosi parte civile e difeso dall’avvocato Massimiliano Fabio.
Un processo che vedeva protagonisti, tra le parti offese, anche il presidente del consiglio comunale di Brolo, Giuseppe Miraglia e l’ex assessore, Carmelo Princiotta anche loro pesantemente “bacchettati” da “Calogero Scaffidi”.
Il Pm, Alessandro Lia, al tempo, per aver certezza dell’identità dell’autore dei post aveva richiesto una perizia sui server di Facebook, che si trovano all’estero. Ma il perito del tribunale non era riuscito, con certezza, a risalire al titolare dell’Ip dal quale erano partiti i messaggi, questi sicuramente diffamatori.
Quindi l’assoluzione mentre il pm di udienza, Giorgia Orlando, aveva richiesto un anno di reclusione.
Il vicesindaco di Brolo, affida ad un post, il suo amaro commento sulla vicenda:
“Da oltre 4 anni sono vittima, su fb, di offese, ingiurie e diffamazione varie da parte del medesimo soggetto. Diffamazioni, fatte da un profilo con tanto di nome, cognome e foto, che hanno portato all’apertura di svariati procedimenti penali,circa sei. Tutti in corso – aggiungendo – Uno di questi, uno dei tanti , prevedeva per l`imputato anche l’accusa di stalking, oltre a svariate diffamazioni.
Oggi [ieri ndr] è arrivata la sentenza che, forse unico caso nella storia, assolve l’imputato perché in sostanza, secondo una perizia, disposta dal giudice e nemmeno richiesta dalla difesa, non si ha la certezza, perché Facebook non fornisce i dati del titolare dell’account da cui partivano, quasi a ritmo giornaliero, offese e diffamazioni nei miei confronti”.
E poi anticipa quel che farà: “Ovviamente aspetterò le motivazioni della sentenza e presenterò appello, non tanto perché mi attendo chissà cosa da una eventuale sentenza di condanna dell’imputato, ma perché continuo a ritenere che i social network non possono diventare una terra di nessuno, dove la gente può vomitare insulti e offese senza dover dare conto a nessuno delle proprie azioni”.
Concludendo amaramente “sono sicuro che se scrivessi nei confronti di un magistrato qualsiasi , solamente un decimo delle vergognose offese che mi sono state rivolte, entro tre mesi sarei condannato in sede penale e soprattutto civile”.
http://scomunicando.hopto.org/notizie/insulti-su-facebook-dopo-la-denuncia-del-vicesindaco-brolese-la-procura-configura-i-reati/