Ucciso 25 anni fa per aver raccontato verità su affari dei clan.
di Enzo La Penna –
La notizia arrivo’ in redazione verso le dieci di sera durante il ”giro di nera” che precedeva la chiusura della prima edizione. Invertendo i ruoli fu il poliziotto di turno al centro operativo della questura a rivolgere la domanda al reporter: ”Conoscete Siani?”. Era la sera del 23 settembre di 25 anni fa, il corpo senza vita di Giancarlo Siani giaceva nella sua auto nel viale di casa, in piazza Leonardo al Vomero, e la polizia ancora era alla ricerca di informazioni precise sulla figura della giovane vittima.
Fino a pochi minuti prima Giancarlo era seduto proprio alla scrivania di fronte, nello stanzone della cronaca del Mattino, dove lavorava da un paio di mesi dopo aver concluso la sua esperienza di corrispondente del quotidiano da Torre Annunziata, comune tra i piu’ turbolenti dell’area vesuviana che appena un anno prima era stato teatro della piu’ cruenta strage della storia della camorra (8 morti e 20 feriti).
Due killer lo avevano atteso per ore sotto casa uccidendolo con numerosi colpi di pistola. Un pentito raccontera’ molti anni piu’ tardi che, portata a termine la missione, gli assassini tornarono nel loro covo dove, insieme con i boss che avevano impartito l’ordine, stapparono lo spumante per festeggiare il successo dell’impresa, consistita nel colpire nascosti nell’ombra un giovane inerme.
E bisogna ammettere che dal punto di vista dei camorristi davvero rappresentava un successo l’eliminazione di quel giornalista di 26 anni che raccontava con passione e impegno civile gli affari e i regolamenti di conti tra le cosche, che faceva troppe domande in giro sul sistema di collusioni, sugli appetiti di boss e colletti bianchi che miravano agli appalti pubblici, e che pochi giorni prima di essere ucciso confidava di aver raccolto materiale esplosivo da pubblicare in un libro.
Giancarlo nel giornalismo ci era entrato attraverso la strada piu’ complicata e impegnativa, consumando le suole per raccogliere notizie presso commissariati, caserme dei carabinieri, uffici giudiziari, sindacati, amministrazioni pubbliche, associazioni di volontariato.
Aveva cominciato a collaborare con il periodico ”Osservatorio sulla camorra”, poi gli si era offerta l’opportunita’ della corrispondenza del Mattino da Torre Annunziata e lui, che abitava nel quartiere collinare del Vomero e quella citta’ conosceva solo di nome, da quel momento si reco’ ogni giorno nel comune vesuviano consapevole che le notizie te le devi cercare senza aspettare che si materializzino per incanto sulla scrivania. Quando i sicari dei clan Nuvoletta e Gionta misero fine ai suoi giorni, la carriera di Siani era a una svolta decisiva: dopo anni di gavetta stava lavorando nella sede centrale per sostituire colleghi in ferie, il che significava l’imminente assunzione in qualita’ di redattore. La storia del delitto Siani si intreccia con una tormentata vicenda giudiziarie, tra inchieste sballate e piste sfociate nel nulla, che vanno dall’arresto di un pregiudicato di Castellammare assai somigliante a uno dei sicari, alla cattura di alcuni esponenti del clan di Forcella e di un rampollo della Napoli bene dalle amicizie pericolose, in un complesso scenario di camorra, ex detenuti e frequentatori eccellenti di una casa squillo su cui avrebbe indagato il giovane cronista. Con il fallimento delle inchieste cominciarono a circolare voci secondo le quali il cronista sarebbe stato eliminato per qualche oscura faccenda di carattere personale.
A dimostrazione che la mafia uccide sempre due volte. Per fortuna ad evitare che il caso venisse archiviato tra i misteri irrisolti, il pubblico ministero Armando D’Alterio decise di riaprire il fascicolo sulla base di alcuni esili indizi emersi dalle dichiarazioni di un nuovo collaboratore di giustizia, Salvatore Migliorino, cassiere del clan Gionta di Torre Annunziata. Gli inquirenti lasciarono intendere di avere molto di piu’ tra le mani e il bluff funziono’: i camorristi preoccupati entrarono in fibrillazione, si confidarono i loro timori e le intercettazioni li incastrarono.
Fu una reazione a catena: messi alle strette alcuni tra gli organizzatori e esecutori del delitto si pentirono. Le sentenze, confermate della Cassazione, hanno stabilito che l’omicidio fu compiuto dalle cosche dei Gionta, di Torre Annunziata, e dei Nuvoletta, di Marano. Condanne definitive per i mandanti, Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante, e i sicari Ciro Cappuccio e Armando Del Core. La condanna a morte di Siani fu decisa dopo un suo articolo, pubblicato il 10 giugno 1986, in cui rivelava che l’arresto del boss Valentino Gionta era stato possibile grazie a una soffiata dei suoi alleati, i Nuvoletta.
La notizia era vera, ma i Nuvoletta per dimostrarne agli ”amici” l’infondatezza, dissero che quel giornalista andava ucciso. Quell’articolo fu solo la causa scatenate, era da tempo che i camorristi erano inferociti per tutto quello che Siani raccontava. Il ricordo di Giancarlo a 25 anni dalla morte resta vivo: per quanti hanno a cuore la legalita’ e’ un simbolo della lotta alle mafie, per i giovani affascinati dal giornalismo e che si battono per farsi strada in questo mestiere, un esempio da seguire.(Ansa)
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