16.211 invisibili alla ricerca della visibilità
Il 4 marzo 2010, a Palermo, presso il Policlinico universitario Paolo Giaccone, dalle ore 10 alle 13, si svolgerà il convegno sulla malattia rara Sindrome di Sjögren. I lavori inizieranno il giorno prima con i medici di base.
L’ appuntamento, il primo da Roma in giù, rappresenterà un importante momento d’incontro per pazienti e medici, oltre che per ricercatori e case farmaceutiche, sulla Sindrome di Sjögren, una delle 5000 malattie cosidette rare, secondo una stima fatta dall’Organizzazione mondiale della Sanità.
Cos’è la Sindrome di Sjögren
La Sindrome di Sjögren è una rara e grave malattia degenerativa, sistemica ed autoimmune, poco conosciuta finora, molto invalidante poiché non è guaribile ed è caratterizzata dalla distruzione di ghiandole esocrine (ghiandole salivari minori, ghiandole lacrimali, parotidi) mediata dai linfociti T. Può causare anche manifestazioni extraghiandolari e può anche rappresentare a distanza di anni, il primum movens di una malattia immunitaria più grave: l’artrite reumatoide.
Ha una frequenza pari all’1% e colpisce soprattutto le donne (9:1), con due picchi d’incidenza da 20 a 30 anni e durante la menopausa. Sembra essere associata ad una predisposizione genetica ed è caratterizzata da periodi di stasi alternati ad altri di riacutizzazione, specialmente in occasione di stress fisici e psichici.
I sintomi
La Sindrome di Sjögren è difficile da diagnosticare perché può essere confusa con altre patologie ed è poco nota per l’estrema complessità dei sintomi. Essa comporta:
-secchezza oculare, sensazione di sabbia negli occhi, bruciore, fotofobia (la luce di forte intensità provoca sofferenza e disagio)
-secchezza orale, anche con totale scomparsa della saliva, ulcere nella bocca e nel cavo orale in generale, che provocano difficoltà nell’alimentarsi e nel deglutire.
-secchezza della pelle e dermatiti allergiche, psoriasi e porpora
-secchezza vaginale, con vaginiti ed ulcere
-secchezza dell’esofago
-secchezza del naso e delle orecchie
-dolori ossei articolari
-astenia e senso di stanchezza
Può aggredire cuore, pancreas, fegato, apparato osseo articolare, cardiovascolare ed associarsi ad altre malattie autoimmuni, quali: sindrome fibromialgica, fenomeno di Raynaud, Les, sclerodermia, diabete, tiroidite di Hashimoto, vasculiti, e può perfino degenerare in linfoma con una mortalità del 5-8%.
Se ne deduce dunque che è una malattia fortemente invalidante, con forti ripercussioni socio-familiari.
Come dicevamo, essendo allo stato attuale una malattia incurabile, le terapie consistono nel controllo dei sintomi, attraverso antinfiammatori, cortisonici, antidolorifici, immunomodulatori e in una serie di interventi fisioterapici e norme di adattamento delle condizioni ambientali alle esigenze dell’ammalato. Ne derivano gravi limitazioni, assenze dal lavoro ed anche necessaria interruzione definitiva delle attività lavorative.
Malattia orfana
Nonostante l’evidente imponenza della malattia, però, essa può definirsi una malattia “orfana”, cioè priva di adeguata assistenza sanitaria. Non gode infatti di tutta la serie di benefici clinico-assistenziali, come le esenzioni, di cui per esempio gode la celiachia, che è contemplata come malattia rara, nonostante superi il 5% della popolazione. E, soprattutto, non gode di quelle attenzioni, in termini di studi e ricerche, che risultano veramente esigui al cospetto di tutte le altre patologie.
Secondo l’enunciato adottato dalla legislazione americana, si può considerare rara una malattia che affligga meno di 200.000 cittadini negli Stati Uniti, con una prevalenza quindi pari a 1 caso su 1.250 individui.
Il Working Group on Rare Diseases, istituito dalla Comunità Europea, ha adottato un criterio di prevalenza più restrittivo: definisce rara quella malattia che in Europa abbia una prevalenza inferiore a 5 casi per 10.000 abitanti.
I ricercatori non si occupano volentieri di malattie rare, perché ci sono scarse probabilità di essere finanziati. Le aziende hanno pochissimo interesse ad investire nella ricerca su un farmaco, la cui vendita, dato che si indirizza ad una malattia che contempla un esiguo numero di “consumatori”, non rappresenterebbe una convenienza perché il ritorno dalle vendite non sarebbe mai sufficiente a coprire le spese d’investimento. Un altro ostacolo è rappresentato dalla difficoltà a “censire” gli ammalati, quindi a poter agevolmente condurre studi statistici, con trial sperimentali, da basare su campioni di pazienti difficilmente raggiungibili.
Ecco perché queste malattie vengono chiamate “orfane” perché poco appetibili alla ricerca sperimentale e clinica. D’altro canto le malattie rare hanno la peculiarità di essere malattie che richiedono un’assistenza specialistica continuativa di cui il servizio pubblico dovrebbe farsi carico, perché non si verifichi una diseguaglianza assistenziale. Un minor mercato capace di ammortizzare i costi di una ricerca farmacologica specifica comporta la gravità di una scarsa o scarsissima diffusione delle conoscenze comunque disponibili nella pratica corrente quindi un minor avanzamento delle conoscenze rispetto a quelle teoricamente possibili. I soggetti affetti si troverebbero pertanto in una situazione di doppio danno: il primo derivante dall’essere affetti da una patologia quasi sempre molto severa, il secondo dal non essere riconosciuti, diagnosticati e curati per quanto si potrebbe. Una condizione, in parole povere, di vero abbandono. Sotto la spinta degli Stati Uniti , direttiva portata avanti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da poco recepita anche in Italia, ha preso avvio una politica tendente all’obbiettivo di stimare con esattezza l’impatto in popolazione e nei servizi sanitari che il complesso delle malattie rare comporta. Tale impatto costituisce, infatti, l’unica condizione, il moltiplicatore di tutte le azioni o agevolazioni che eventualmente vengono riservate alle malattie rare.
L’Istituto di ricerca per le malattie rare “Mario Negri” di Bergamo riprende la definizione del Congresso americano. Nella letteratura medica italiana si trovano definizioni ancora più diversificate. Ad esempio, secondo alcuni Autori italiani si definiscono come “orfane” le condizioni morbose che colpiscono meno di 60.000 persone in Italia, pari circa allo 0,1% della popolazione complessiva. Le definizioni utilizzate da tutte queste fonti sono quasi sempre dissimili e di conseguenza le stime riportate sono altrettanto contrastanti.
Gli ammalati, per la caratteristica della sintomatologia e la difficoltà della diagnosi, vanno incontro a conseguenze anche sul piano psicologico, con conseguenti depressioni e tendenza all’auto-isolamento. Spesso tutti i loro rapporti, compresi quelli familiari diventano difficili e vengono comunque influenzati molto negativamente. Ne deriva una qualità della vita che tende a diventare poco sostenibile. Anche per i notevoli costi che la malattia comporta, vista l’assoluta assenza di compartecipazione da parte del servizio sanitario nazionale.
Un paese civile moderno non può non farsi carico di curare anche i suoi membri più deboli e lasciare loro la sensazione di essere abbandonati.
Tutto momentaneamente è affidato ai singoli ammalati, alla solidarietà spontanea, al volontariato ed all’intervento delle famiglie. Da qualche anno, più precisamente dal 2005, è sorta a Verona l’Associazione Nazionale Italiana Malati Sindrome di Sjögren (A.N.I.Ma.S.S.), una onlus che ha lo scopo di tutelare gli ammalati di tale sindrome, assicurando consulenze gratuite di ogni genere, fornendo sostegno psicologico, promuovendo campagne di sensibilizzazione, convegni per diffondere tutte le informazioni utili sulla malattia, finanziando progetti di ricerca e di studio, istituendo borse di studio e quant’altro possa servire ad avviare ogni intervento utile a dare una speranza a tutti gli ammalati.
Ornella Fanzone
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