– di Corrado Speziale –
Dal 7 al 17 settembre un gruppo di giovani artisti provenienti anche dall’estero, assieme a giovani artisti messinesi, tradurranno in opere d’arte i sentimenti che si provano osservando il paesaggio che offre il meraviglioso territorio dei Peloritani.
Le attività si svolgeranno tutti i giorni dalle 8 alle 18. L’ultimo giorno, il 17 settembre, dalle ore 14, avrà luogo una visita collettiva animata da poesia, musica e danza.
Padre Mario Albano: “Non c’è più vino…Non ci sono più persone che hanno capacità di fantasia, di creatività, di gioia. Questa esperienza tra arte e natura può essere una scintilla, un incentivo per portare partecipazione alle attività del parco”.
Un incanto alle porte dei Peloritani: a Messina, Forte San Jachiddu – Ecovivarium, struttura umbertina sottratta ad un’idea di guerra di fine ‘800 e consegnata alla pace, regalerà ancora una volta emozioni emanate dalla natura stessa che lo caratterizza e lo circonda.
Percezioni soggettive tenute insieme da un unico sentire rappresenteranno gli elementi ispiratori per artiste e artisti che vorranno condividere dieci giorni a contatto con la natura in quel luogo dell’anima, sottratto alla proverbiale incuria della gente, all’indifferenza della politica e rinato dopo il drammatico incendio del 2017 che devastò l’intero parco, lasciando fortunatamente integro il forte. A ciò si sono aggiunti recentemente i furti di oggetti, per lo più attrezzature da lavoro fondamentali per le attività, ad opera di ignoti, che obbligano l’instancabile padre Mario Albano, “anima” storica della struttura, fratello, sacerdote contadino libero e aperto ai sani principi della vita, assieme ai pochi volontari “Amici del Fortino”, alla non arrendevolezza. Questo è il loro appello che si legge sulla porta della struttura: “La natura è la nostra casa, insieme possiamo prendercene cura. Dona anche tu un contributo per l’acquisto delle attrezzature sottratte”.
Al parco del Forte San Jachiddu, non c’è “inferno” che attecchisca: alberi secolari, essenze aromatiche e di macchia mediterranea, habitat ideali per importanti specie faunistiche, percorsi ecologici, sono elementi del Creato, e come tali, custoditi e valorizzati. Allora, gli incendi fecero razzia delle mitiche casette sugli alberi, ma adesso ritroviamo una bellissima novità come l’agorà, una vera e propria aula scolastica nel bosco, con banchi dismessi e recuperati a nuova vita didattica. A pochi metri, uno dei “paesaggi terrazzati” con le famose “ammacie”, oggetto di uno studio e di una mostra di Italia Nostra. Tutto questo grazie al lavoro, all’impegno, al dono, nel segno della gratuità.
Un luogo di incontro, scambio, aggregazione e socializzazione, di dialogo interreligioso, è così divenuto adesso anche sede di una vera e propria scuola, attraverso un’aula didattica all’aperto, nel cuore del parco, intitolata e ispirata a Paulo Freire.
Scuola e arte, il bosco che racconta di sé e che attraverso la sensibilità umana fa cultura: è “vibrare con la natura”, come indica fratel Mario nel “Giardino dei Semplici”, spazio artistico che accoglie appena fuori l’ingresso del forte.
È questo il senso di “Sinestesie”, residenza d’artisti con realizzazioni di opere tra arte e natura. Dal 7 al 17 settembre un gruppo di giovani artisti provenienti anche dall’estero, assieme a giovani artisti messinesi, tradurranno in opere d’arte i sentimenti che si provano osservando il paesaggio che offre il meraviglioso territorio dei Peloritani.
Le attività si svolgeranno tutti i giorni dalle 8 alle 18. L’ultimo giorno, il 17 settembre, dalle ore 14, avrà luogo una visita collettiva animata da poesia, musica e danza.
Per l’occasione abbiamo incontrato Mario Albano, motivato, coriaceo, disponibile come sempre:
“Stiamo promuovendo l’agorà, la scuola nel bosco – esordisce Albano. Con cadenza di quindici giorni, o un mese, una scuola potrà venire qui per ritrovare una sintonia con la natura, con il mondo che ci circonda. Viviamo in un mondo artificiale, molte volte brutto. Vorremmo realizzare una sorta di università della Terra. Messina ha delle potenzialità che questo luogo sta vivificando. Ha la grande risorsa nei Peloritani, invece si porta dietro la cultura del ghetto. Come dire, oltre la soglia di casa il mondo non mi appartiene”.
Cita il Vangelo: “In un’espressione dà un giudizio sulla società: non c’è più vino. Ossia, non ci sono più persone che hanno capacità di fantasia, di creatività, di gioia. Ciò che tentiamo di fare è trasformare l’acqua in vino attraverso una prassi. Oggi abbiamo bisogno di creare una nuova cultura con nuove persone che si interessino della collettività. Quella a cui abbiamo affidato la nostra vita, quel vino è diventato aceto. Questo è drammatico”.
Il punto sul Parco San Jachiddu: “Sta diventando un punto di riferimento – commenta ancora padre Albano – e noi ci sforziamo affinché diventi anche un grande messaggio. Non vogliamo un logo da picnic. Stiamo realizzando dei sentieri molto interessanti. Questa esperienza tra arte e natura può essere una scintilla, un incentivo per portare partecipazione alle attività del parco”.
Dopo l’incendio del 2017, Albano, durante un convegno, si riferì a “fratello fuoco”, quasi come a perdonare la natura dopo il danno subito. La domanda: all’uomo possiamo perdonare certi danni? “Teoricamente no – risponde Albano. Ultimamente, per la prima volta dopo 25 anni, ci hanno rubato delle cose. Non ho sporto denuncia, ma ho lanciato un messaggio: avete rubato a casa vostra. Ciò che avete rubato lo avete sottratto ai vostri bambini, perché quegli attrezzi servivano a curare questo luogo. Un messaggio, secondo me, più importante della denuncia”. L’appello alla solidarietà: “Abbiamo chiesto a tutti un mattone, come Francesco d’Assisi per la chiesa di San Damiano. Egli non utilizzò i soldi di suo padre, ma chiese agli assisani un mattone”. Da Assisi al Forte San Jachiddu: “Con un mattone anche qui abbiamo costruito questa cattedrale. Io non chiedo, personalmente, soldi alla gente. Chiedo che venga sostenuto un intervento, in modo che con quella spesa sia realizzata una determinata cosa che abbia un fine compiuto”.
Un metodo da cui Albano prende le distanze: “Sono a conoscenza del mondo ecclesiastico, dove con un mattone si costruisce una chiesa. Dammi una disgrazia e facciamo fortuna. Non di chi ha subito la disgrazia, ma degli altri… La Chiesa è un po’ particolare – prosegue padre Albano. Il potere lo sa esercitare. Puoi passare tranquillamente da amico a nemico e viceversa. Io nella mia vita ho avuto grosse difficoltà con la gerarchia ecclesiastica”.
L’iniziativa Sinestesie: “I giovani artisti che parteciperanno a questo evento sono tutti volontari. È un’iniziativa spontanea di uno di loro che in precedenza qui aveva realizzato un’opera”. L’evento artistico e il rispetto del Creato: “Nella Bibbia – sottolinea ancora Mario Albano – quando Dio creò l’uomo e gli affidò la Terra, raccomandò di dominarla o di averne cura? Noi abbiamo dominato la Terra, non abbiamo avuto cura di essa, lo stiamo vedendo. Francesco D’Assisi, nella Regola, indica ai frati che nell’orto bisogna lasciare sempre un pezzetto di terra non coltivata, affinché possa esprimersi liberamente. Una sensibilità eccezionale”.
In conclusione, la solitudine, il senso di comunità, la speranza: “La mia solitudine non è materiale, è un isolamento spirituale, che per me è la sofferenza più grossa. In via generale il Cristianesimo doveva svilupparsi attraverso una prassi, invece è diventato teologia. Ad un certo punto, nel Vangelo Gesù fa lo sforzo di trasformare l’acqua in vino attraverso la prassi. Noi immaginiamo che ciascuno abbia messo ciò che aveva, quindi una prassi comunitaria. E alla fine c’è un resto. Avanza qualche cosa. Ossia la prassi non è fine e se stessa, ha la capacità di andare oltre…”