SOLSTIZIO – La Magia dell’Argimusco
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SOLSTIZIO – La Magia dell’Argimusco

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Il solstizio d’estate e l’Argimusco è un rito magico, millenario che avvicina cultori di astronomia, ma anche il mondo mistico di shamani ed estoterici stregoni, di gente che cerca pace e punti di meditazione, di ritrovari e “centrarsi”, ma che parla di iniziazioni, quelle dei giovani dei popoli siculi. Qui ritrova la cultura del territorio. Domani sarà la mattinata del solstizio.. sperando che sia di buona luce!

 


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L’Argimusco, un altipiano che presenta formazioni di arenaria dalle suggestive forme antropomorfe e zoomorfe, modellate dall’acqua e del vento nel corso dei millenni.Un altopiano da sempre impervio ma dove è visibile chiaramente l’attività antropica – tombe, un palmento rupestre, la pietra dei 7 scalini, il camminamento scavato nella roccia, la vasca sulla Rupe dell’Acqua, l’edicola votiva ed alcuni petroglifi – d’epoche arcaiche.

Qui, al solstizio d’estate accade qualcosa di speciale.

Il sole nella sua danza, intreccia i suoi raggi con la Terra, si unisce al Cielo, e si compiente l’Evento, silenzioso, da leggere, ricco di auspici, proprio attraverso le pietre dell’altopiano, che si trasformano in veri e propri indicatori celesti.

Il termine solstizio deriva dal latino solstitium, “sol stat” – il sole si ferma – quando l’astro raggiunge la sua massima declinazione positiva rispetto all’equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso, in tutto il mondo, a nord dell’equatore, si guardato all’inizio dell’estate astronomica.

In questo particolare giorno dell’anno il Sole cessa dunque di alzarsi sopra l’equatore celeste e pare si fermi per poi riabbassarsi.

Nel giorno più lungo dell’anno, in cui i nostri antenati svolgevano culti e riti atavici per venerare le divinità celesti e terrestri.

Osservare il sorgere del Sole in un punto speciale dell’Argimusco: sul megalite dell’Aquila da suggestioni incredibili.

Il Sole sorge proprio in prossimità di questa pietra che rappresenta l’emblema dell’intera area rocciosa. E per osservare questa manifestazione del sacro attraverso la luce (ierofania) vi sono doveri punti privilegiati, per esempio dai menhir naturali o dalla collina dei guardiani.

Ma poi volgendo lo sguardo verso il Bosco di Malabotta si osserva il rito d’iniziazione quando l’ombra proiettata dalla roccia fallica si incunea in quella vulvare….  una straordinaria performance naturale, propriziatoria, in un luogo al confine tra Cielo e Terra.

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Lo spettacolo, solstizio o meno, da quest’altipiano è sempre splendido

Qui lo sguardo si perde, alle prime luci dell’alba.

Dopo la rocca della Novara si estende in basso verso oriente il magico bosco di Malabotta e poi il grande cono dell’Etna fumante.

Giù, a Nord,  ci sono le Eolie, altri vulcani, tra attivi e dormienti. Uno è anche inabissato mentre lo Stromboli spesso erutta chiaramente la sua forza.

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Le grandi rocce, che sorgono sopra un tappeto di verde intenso, sembrano strane figure che richiamano mostri e figure orride, sogni  inquietanti, profili possenti, mai bizzari.

Durante il solstizio d’estate la luna piena affonda, nel cielo che si tinge d’azzzurro, in attesa dell’alba. La luna è lì sulla destra del vulcano, e dopo appena un’ora si alza il sole sulla parte opposta in direzione dell’aquila, la pietra che come un maestoso rapace sembra pronto a spiccare il volo dal suo nido, posto a protezione della necropoli.

Altro segnale, è posta al “levante”.

Da qui, superando il crinale si scende verso la valle dell’Alcantara.

Verso il mar Jonio lungo il tratturo dei pastori.

Altra contaminazione: le pale eoliche.

Un oltraggio al paesaggio. Uno scempio inutile, tanto ancora nonostate siano passati anni, la foresta d’acciaio non genera nulla.

Che scempio.

Oggi probabilmente non è stata riconosciuta la sacralità al luogo, non si può riconoscere un atto volontario di blasfemia, perché non c’è la minima traccia di segnali in questo senso.

Sconoscenze volontarie?

Altri “animali” prendono  possesso materiale dello spazio che non usano come ricovero, né per riflette, ma per asoltare brani scelti, letti da altri, sentir parlare registi e cineasti.

Tutto lontanto dal quel sole che sorge.

Le Rocche dell’Argimusco, sono un complesso di luoghi, fuso in un unicum, che mantengono una sacralità tutta insita in quel’altopiano pietrificato.

Nulla è qui al caso.

Una grande roccia, quella dell’orante, in grado di dar anche ricovero sotto i suoi anfratti ad un gregge di pecore, ai cavalli lasciati liberi, non lascia minimanente spazio al pensare che il luogo, i suoi usi, i pastori, la gente dei nebrodi che ci vive e che lo vive  possa far diminuire la sua sacralità.

E’ tutto naturale.

Stà nel tempo.

Ma altri flussi, altra gente, altri riflettori accesi ci pongono la domanda se quei deserti inospitali, dove il filo spinato segna le aree dei pascoli, non sia il primo passo vero una desertificazione preoccupante dell’anima, che in qualche modo riflette uno stato interiore dell’uomo.

Ma se queste sono solo considerazioni, forse da condividere con chi recentemente al solstizio ha portato malati terminali, scolasche con qualche cromosoma in più, “angeli” che cercavano speranze nell nuovo giorno.

Anche questo è stato e sarà l’Argimusco.

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Ma torniamo al “nostro” Argimusco.

Nel momento che i latini denominavano  “sol stat” – il sole si ferma – quando l’astro raggiunge la sua massima declinazione positiva rispetto all’equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso, in tutto il mondo, a nord dell’equatore, si guardato all’inizio dell’estate astronomica. Una festa ricordata da 10 mila anni e che anche avrà i suoi riti.

Tra le località sacre agli amanti di questo culto, dove fede nel trascendente, esoterismo, culto della vita e della morte, trovano più punti di unione, da annoverare anche l’altopiano dell’Argimusco, a ridosso del grande bosco di Malabotta, sopra Montalbano Elicona.

 

A darsi appuntamento per vedere l’alba e l’inseguirsi delle lunghe ombre che da un menhir all’atro simboleggiano la morte, la vita e l’iniziazione, saranno ancora davvero in tanti.

Estrazione sociali e culturali diverse, generazioni trasversali, ideologie politiche e non, accomunati dalla voglia di sapere ma soprattutto da quella di esserci, senza apparire, in quel momento ed in quel luogo che richiamava, già  alla fine del paleolitico, in una zona per nulla urbanizzata, per nulla accogliente, ad oltre 1250 metri di quota, genti, sacerdoti e vestali che provenivano dalle tre grandi aree geografiche della Sicilia del tempo ed anche dalle Eolie (vedi le tracce di ossidiana trovate in questo area anche dal professore Giovanni Pantano, il primo scopritore ufficiale di questo importante complesso).

I primi chiarori del sole nascente vedranno, come nei secoli passati, il popolo del solstizio, arrivato alla spicciolata già  dalle 4 del mattino, disporsi sopra le rocce, con la fronte al sole, a meditare, aspettare, “ascoltare” e “”guardare” o “osare” .

Così è stato facile, negli anni ritrovare  coppie di genitori finniche che hanno offerto i propri figli ai raggi energetici del sole, oppure gli “altri”, tra meditazioni yoga e ritmi scanditi dal tamburo – quelli del  popolo degli sciamani – che anche qui celebravano, immersi nel bianco dei caffetani, i riti iniziatori guardando l’Aquila e l’Osservatorio Luni-Solare, o ascltare il suono della “brogna”che si incunea tra le rocce o i sonagli dei tamburelli mentre la Grande Rupe, il maestoso megalite con un gigantesco volto, allineato all’Orante, cercando di sincronizzarsi con il ritmo dell’avanzata delle ombre che partendo dalle proiezioni dei due Menhir – maschile e femminile – simboli di fertilità  e di nascita, si uniscono, ricchi di simbolismi: la vita e la morte, celebrando il dualismo del femmineo con il maschile e la voglia di avvicinare la necropoli, ad ovest sotto l’Aquila, con la vita ad est rappresentata proprio dai simboli vulvarici e fallici.

Un momento certamente magico, che va vissuto in silenzio, in osservazione, in sintonia con i ritmi della natura e le nenia ancestrali che si alzavano da questo luogo simile a Pantalica, a Stonehenge, alle città del sole degli Incas, o ai grandi tempi druidici del nord dell’Europa.
l’Argimusco di Sicilia dove da diecimila anni già si celebrano culti, era la terra dell’iniziazione dei giovani nebroidei, e si respira, ora come allora, energia e magia fatti di gesti e riti come quello di raccogliere le erbe del solstizio e conservarle come portafortuna, ancora una volta lascia tutti attoniti, aspettando un nuovo ciclo lunare ed l’avvicendarsi di un altro solstizio, per rinnovare la malia di questa terra.

 

ASPETTI CULTURALI

Il solstizio d’estate rappresentando l’inizio dell’estate è sempre stato nella storia occasione di feste, come i Litha nel Neopaganesimo. Anche il solstizio d’inverno ha rappresentato nei secoli occasione di festività  di vario genere: i Saturnalia nell’antica Roma, Kwanzaa per alcuni afroamericani o lo stesso Natale, Yule nel Neopaganesimo.

 

MEGALITI DELL’ARGIMUSCO tratto da “Nebrodi Eolie”

Un misterioso viaggio nel tempo… L’Argimusco è un altopiano situato poco a nord dell’Etna, al confine tra i Nebrodi e i Peloritani. In questa zona sorgono numerosi megaliti, antichi menhir, dolmen e maestose formazioni rocciose frutto dell’opera di popolazioni preistoriche e dell’azione del vento. Tra i megaliti più affascinanti si riconoscono l’aquila, la Dea, i simboli della fertilità…
Il sito megalitico dell’ Argimusco – dal greco “argimoschion” “altopiano delle grandi propaggini” – si estende su un vasto pianoro posto a 1200 metri sul mare in un’area a nord dell’Etna, al confine tra i monti Nebrodi e i Peloritani, a poche centinaia di metri dal Bosco di Malabotta, oggi Riserva Naturale Orientata. Il panorama che si gode una volta raggiunta l’area è stupefacente: a Nord lo sguardo, dopo essere planato su verdi distese di campi degradanti verso il mar Tirreno, raggiunge le Isole Eolie. A Sud, oltre la valle dell’Alcantara, è la maestosa mole del vulcano Etna a fare da scena ai menhir, alle sagome e ai volti di pietra che si ergono su questo pianoro inconsuetamente verdeggiante di felci anche in piena estate. Ad Ovest è possibile scorgere distintamente Capo Calavà sulla costa nei pressi di Gioiosa Marea, più in fondo Cefalù. Ad Est il Capo di Milazzo, che precede l’approssimarsi dello Stretto di Messina e più a Sud-Est l’inconfondibile Rocca di Novara di Sicilia.

Questo dell’Argimusco è probabilmente l’unico esempio di sito megalitico in Sicilia (in altre aree si rinvengono costruzioni analoghe ai cubburi, necropoli, ma mai realtà paragonabili a queste). Qui in epoche remote sarebbe stata localizzata una di quelle rare aree adibite alla celebrazione di riti primordiali o all’osservazione degli astri e dei cicli delle stagioni.

Sembra che già nel periodo preistorico ci fosse la presenza umana all’Argimusco; probabilmente fu abitato dai “Giganti”, prima popolazione della Sicilia, uomini robusti ed altissimi che praticavano la pastorizia e che preferivano abitare su delle alture per paura del diluvio vissuto anni prima dai loro avi.

I MEGALITI

L’ordine che segue è quello che corrisponde all’itinerario tracciato nell’altipiano, ma la loro posizione assume un significato particolare a seconda se la si consideri rispetto ai punti cardinali (con un’origine posta al centro ideale del complesso megalitico) o rispetto al massiccio considerato principale e cioè quello dell’Orante/Osservatorio Luni-solare. Le rocche dell’Argimusco sono frutto dell’opera umana o dell’azione dell’erosione eolica? Probabilmente di entrambe. Purtroppo gli studi condotti finora sull’area forniscono solo risposte approssimative, ma certamente affascinanti e nuove e approfondite indagini sarebbero davvero decisive per assegnare a questo luogo magico la sua giusta collocazione storico-sociale e ambientale.
Di seguito un elenco indicativo (non esaustivo), secondo l’ordine di disposizione lungo il sentiero che rende attualmente fruibile l’area.
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I Menhir Maschile e Femminile (dal bretone Men = Pietra e Hir = Lungo) ben visibili da due diverse prospettive (quello femminile va osservato preferibilmente da valle), simboli di fertilità e di nascita. il varco creato fra i due monoliti consente di osservare il sorgere del sole.

Il Mammut (caratteristica anche per la crescita di bellissimi esemplari di Agrifoglio tra i suoi anfratti).

Il volto. Ci sono molte rocce che possono ricondurre a profili umani, ma alcuni sono più espressivi di altri.

l’Aquila, inequivocabile figura che nelle antiche tradizioni scorta le anime dei defunti alla loro dimora eterna. Non a caso il becco punta in direzione di un necropoli.

il Santuario – Pluviometro, una rocca caratterizzata da incisioni parallele utilizzate per la raccolta dell’acqua che veniva convogliata in delle vaschette, a scopo di misurazione ma anche per le cerimonie legate alla pioggia.
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l’Orante, detta anche la Dea Neolitica (oggi, in linea con la nostra cultura cristiana: la Madonna), uno splendido profilo di donna in atteggiamento di preghiera, perfettamente delineata nei dettagli. L’aureola, il velo, il volto, le mani giunte, l’abito lungo. Questa figura mistica attira l’osservatore, ma più quest’ultimo si avvicina a lei più le sue sembianze svaniscono.

L’Osservatorio luni-solare (posto sullo stesso megalite dell’orante), un vero e proprio sestante perfettamente riconoscibile e funzionante, affiancato a una vasca per la raccolta dell’acqua.

la Grande Rupe, un maestoso megalite con un gigantesco volto, allineato all’orante con cui crea un varco da cui è possibile osservare il tramonto (che esalta il profilo della dea).

il Tetraedro (posto materialmente prima dei complessi Orante-Osservatorio-Grande Rupe, ma visibile solo dopo essere giunti al centro del pianoro), una sorta di freccia o ago della bussola che punta a nord e chiaramente posizionato dall’uomo.

Le rocche incavalcate (Dolmen crollati di portella Calvagna. Dolmen = parola di origine mista, in parte bretone = Tre pietre – detta, infatti, anche Trilite).

Senza uno specifico significato mistico/religioso, sono i “Parti della Roccia”, considerati semplicemente delle forme di erosione che, lasciando intatti i nuclei interni della roccia, hanno dato risultati insoliti. Si presentano come sfere quasi perfette (o porzioni di sfere) che sbucano dalla roccia. Ce ne sono diversi sparsi nel sito.

Per saperne di più riproponiamo il testo

LE PIETRE DEI GIGANTI: GLI ORIENTAMENTI ASTRONOMICI DEI MEGALITI DI MONTALBANO ELICONA

di Ignazio Burgio.

Le misteriose formazioni rocciose che si presentano in tutta la loro imponenza nei pressi del paese di Montalbano Elicona, in provincia di Messina, sono state interpretate da alcuni come semplice opera della natura, da altri come opera degli uomini neolitici di Sicilia in tempi molto antichi. Così le suggestive sagome della Vergine in preghiera, del volto maschile e dell’Aquila vengono considerate ora come bizzarri scherzi della natura, ora come l’opera di una misteriosa civiltà che lasciò altri esempi simili non solo in Italia ma in tutto il mondo. Curiosamente però i megaliti più notevoli di questa “Stonehenge italiana”, come definita da qualcuno, presentano precisi orientamenti agli equinozi ed ai solstizi…

Quando alcuni anni fa vennero scoperti i megaliti dell’Argimusco, una località poco distante da Montalbano Elicona, in provincia di Messina, il mondo degli studiosi si divise tra coloro che assegnavano un’origine assolutamente naturale e casuale alla forma e alla disposizione delle formazioni rocciose, e coloro che invece li riconducevano, in tutto o in parte, all’azione dell’uomo del neolitico. Il luogo venne equiparato alle grandi strutture megalitiche dell’Europa settentrionale, come Stonehenge, Carnac, Skara Brae, ecc. mentre vi fu anche chi ne attribuì l’origine al mitico popolo dei Giganti, uomini di alta statura menzionati in molte fonti antiche. Vedendoli tuttavia sotto il punto di vista semplicemente della struttura e dei fenomeni astronomici, non si può fare a meno di riconoscere che i megaliti dell’Argimusco celino funzioni analoghe a quelle dei grandi calendari di pietra del nord Europa, e dunque una storia antichissima e sconosciuta.

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Il luogo innanzitutto è inserito in un vero e proprio “spazio sacro” che va ben al di là del principale raggruppamento di pietre. Sorge su di un altopiano a 1200 m. sul livello del mare, le cui coordinate esatte sono 37° 59′ N, 15° 2′ E. Esattamente a sud – al centro di due basse colline – si staglia la parte sommitale del cratere dell’Etna. In direzione degli altri tre punti cardinali, altrettante cime montuose o collinari sembrano “inquadrare” a bella posta l’orientamento del sito.
Sotto il punto di vista strettamente geologico, i massi si dimostrano essere dei conglomerati calcarei, facilmente sottoposti quindi, per la poca durezza della pietra, sia all’erosione degli agenti atmosferici (di cui è certamente innegabile l’azione nel corso dei millenni passati), come anche in teoria al lavoro dell’uomo.

Alcune hanno forme caratteristiche ed estremamente suggestive. Nel gruppo megalitico principale, dalla pianta circolare, si notano in primo luogo due menhir, uno più slanciato e snello, alto una ventina di metri, ed uno più basso e massiccio, di poco più di dieci metri. Comunemente essi vengono designati come “simboli sessuali maschile e femminile”. Poco più avanti spostati sulla destra (in direzione di nord-est) si innalzano tre grandi massicci di pietra, alti una trentina di metri e anche più. Le pareti di due di questi, uno di fronte all’altro, presentano un profilo di tipo antropomorfo, uno maschile, e l’altro, nettamente più distinguibile, femminile, con le mani giunte in atto di preghiera (e perciò comunemente denominata l’Orante). Un altro megalite dalla forma ben distinta e caratteristica è infine costituito da un gruppo di pietre sovrapposte (dalla natura o dall’azione dell’uomo antico?) dalla sagoma di aquila o comunque di un rapace, con le ali semi-spiegate e il capo rivolto verso sud.

In tutte le parti del mondo si ritrovano volti antropomorfi di grandi dimensioni che hanno tutta l’aria di non essere stati creati dalla natura, bensì dall’opera di popoli sconosciuti in tempi molto antichi, con metodi e scopi ancora a noi oscuri. In Sicilia stessa nei pressi di Petralìa, in provincia di Palermo, si possono vedere altre figure, antropomorfe e zoomorfe, presenti sulle pareti di un canalone e studiate dalla ricercatrice di origine russa Emilia Sakharova. Lo stato di forte erosione ad opera degli agenti atmosferici nel corso del tempo se testimoniano da un lato la lontana antichità di queste sculture – risalenti forse a diecimila anni fa – ne rendono problematica l’inequivocabile identificazione come opera dell’uomo e non della natura.
A Montalbano Elicona se non può esservi dubbio che i gruppi di pietre più grandi, a giudicare dalla loro mole, siano certamente opera della natura, molti indizi fanno pensare che i menhir, la disposizione di alcune pietre più piccole, e le curiose sagome dell’Orante e dell’Aquila siano al contrario di origine umana.

Se ci si dota di bussola si scopre che tanto il megalite a forma di rapace quanto il menhir più alto sono allineati esattamente lungo l’asse est-ovest. Ciò significa che ponendosi con le spalle rivolte al megalite cosiddetto “fallico” e guardando l’Aquila si può vedere sorgere il sole esattamente dietro quest’ultima nei giorni degli equinozi (di Primavera e di Autunno). Analogamente ponendosi con le spalle di fronte al rapace e guardando il menhir si può vedere tramontare il sole esattamente ad ovest sempre nei medesimi giorni. Tra i due elementi si trova inoltre una curiosa pietra bassa a forma di sella, più vicina al menhir che all’Aquila, anch’essa perfettamente in linea, che “dovrebbe” (si usa il condizionale poiché per il momento è solo frutto di calcoli, e non di osservazioni dirette) rappresentare il punto di arrivo dell’ombra del menhir al tramonto sempre nelle medesime date equinoziali.

Questa sorta di “pietra-testimone”, al centro del gruppo circolare di menhir e megaliti con “i volti”, potrebbe rappresentare un punto di osservazione privilegiato dal quale rilevare altri fenomeni astronomici significativi. In direzione sud-ovest ad esempio un masso nei pressi della coppia di menhir potrebbe trovarsi lì in maniera non casuale per segnalare il tramonto nel solstizio invernale, mentre dalla parte opposta il sole sorge nel solstizio d’estate tra i due profili della dea in preghiera e quello maschile, forse un’antichissima testimonianza di un culto celeste legato alla fertilità. E’ necessario comunque effettuare altri rilevamenti ed osservazioni, anche allo scopo di capire se vi siano altre pietre orientate ad altri fenomeni astronomici significativi, come le fasi lunari, o le posizioni di alcune stelle particolari nella volta celeste.  A questo proposito si può riportare una curiosa osservazione che potrebbe aprire la via ad altre ricerche. Nella carta celeste delle nostre costellazioni tradizionali la raffigurazione femminile della Vergine ha immediatamente alla sua sinistra il gruppo maschile di Boote (il mitologico custode dei buoi Arcade, figlio di Zeus e della ninfa Callisto) mentre alla sua destra c’è un volatile. Quest’ultimo tuttavia non è l’Aquila bensì il Corvo. Alla sinistra di Boote vi è inoltre la costellazione filiforme del Serpente.

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Riportando tutto ciò ai megaliti di Montalbano, potremmo trovarci insomma di fronte ad una classica situazione presente nelle tradizioni archeo astronomiche dei popoli antichi, ovvero la rappresentazione sulla terra di costellazioni o gruppi di stelle di significativa importanza per quelle genti. L’esempio più noto è ovviamente rappresentato dal sito egizio di Giza, ove secondo le ricerche di Robert Bauval le tre piramidi principali rappresentano le tre stelle della cintura di Orione e la statua felina della Sfinge la corrispondente costellazione del Leone. Ma meno nota è anche l’interpretazione che lo studioso tedesco Michael Rappenglueck ha dato una decina di anni fa di una delle più enigmatiche raffigurazioni dell’uomo preistorico nella Grotta di Lascaux in Francia. “Un essere maschile con testa di uccello e fallo eretto è visto di profilo. La sua mano destra sembra appoggiarsi su un bastone, che però non è connesso con la mano. Il pomo del bastone è intagliato a sua volta in forma di un uccello, forse una colomba. Sulla sinistra dell’uomo-uccello un grosso bisonte moribondo è trafitto da frecce, mentre un rinoceronte lanoso (oggi estinto) e un cavallo completano la scena…” (G. Magli, 2006). Riportando indietro il cielo tramite il computer all’epoca di origine delle raffigurazioni (15.000 a. C.), Rappenglueck si rese conto che le singole immagini erano delle vere e proprie costellazioni di una remota età nella quale la stella polare non era la nostra Polaris dell’Orsa Minore, ma – per effetto della precessione degli equinozi – la stella Delta della costellazione del Cigno. Attorno ad essa, la figura umana, il bisonte, il rinoceronte ed il cavallo si sovrapponevano a gruppi di stelle che identificavano le diverse stagioni dell’anno.

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Nel caso dei megaliti dell’Argimusco, l’Aquila, la donna in preghiera, il profilo maschile di fronte ad essa ed il menhir più alto potrebbero raffigurare analoghe costellazioni del cielo di quella remota antichità, presumibilmente all’alba di un solstizio d’estate, l’unico evento astronomico significativo in occasione del quale si presentano sopra l’orizzonte tutte e quattro le costellazioni del Corvo-Aquila, della Vergine-Orante, dell’uomo-Boote e del Serpente-menhir (il tramonto infatti coinvolgerebbe altri gruppi di stelle dalla parte opposta del cielo, mentre l’alba all’equinozio ne nasconderebbe qualcuna come il Corvo). Sulla base del programma astronomico “Stellarium” questa configurazione si presenterebbe solo intorno al 10.000 a. C. , epoca nella quale appunto il sole sorgeva al solstizio d’estate, in direzione nord-est in corrispondenza della costellazione della Vergine. In tale occasione la costellazione del Corvo era esattamente ad Est, per metà al disopra dell’orizzonte, proprio dietro al megalite dell’Aquila, mentre a sinistra-ovest della Vergine-Orante apparivano le costellazioni di Boote e del Serpente.

 

E’ una interpretazione questa che tuttavia – ad essere sinceri – pone più di un problema. Se può essere anche vero che in età molto antica gli uomini raggruppavano già le stelle in costellazioni, come parrebbe dimostrare l’interpretazione della Grotta di Lascaux, è tuttavia poco probabile che le genti del neolitico vedessero in cielo le medesime nostre costellazioni, che risalgono per quel che ne sappiamo al periodo delle grandi civiltà mediorientali (III millennio a. C.). In secondo luogo la data proposta è molto più antica rispetto all’inizio delle prime costruzioni megalitiche che allo stato attuale dell’archeologia risalgono a non prima del VII millennio a. C. (megaliti sommersi di Atlit-Yam e cerchi di pietre di Nabta-Playa nel deserto egiziano). Ciò anche se recentemente l’archeologia ufficiale ha ancor più retrodatato l’inizio delle costruzioni di siti e monumenti religiosi, dopo la scoperta a Gobekli Tepe, in Turchia, di resti di edifici in pietra risalenti proprio al 10.000-9.500 a. C.

 

La datazione dei megaliti di Montalbano Elicona si presenta d’altra parte non poco difficoltosa:

nessuna fonte antica ne fa cenno, ed allo stato attuale non è stato riportato alla luce dal sottosuolo del sito alcun reperto (anche perchè, ad essere sinceri, non è stato fatto ancora alcuno scavo ufficiale, né alcun serio studio). Nelle vicinanze esistono i resti di “dolmen” di pietra appartenenti ad una necropoli (che di per sé potrebbe essere anche molto successiva ai megaliti) purtroppo quasi completamente smantellata dai pastori nei secoli scorsi allo scopo di trarne materiale da costruzione. I “cubburi”, infine, caratteristiche costruzioni in pietra del luogo, affini per stile all’architettura nuragica ed ai “Sesi” di Pantelleria, appartengono ad un’epoca sicuramente molto più recente, anche se ancora non ben definita per la solita mancanza di seri studi archeologici.
Ammesso tuttavia che i megaliti di Montalbano Elicona abbiano un’età tanto antica, sembra ancora più probabile che la funzione di questa “Stonehenge di Sicilia” com’è stata definita da qualcuno, fosse esclusivamente religiosa, legata ai culti astronomici solari e stagionali di morte e rinascita della natura e della vita stessa, come poi perduranti anche in età storica e nella successiva religione cristiana, fino ai nostri giorni

20 Giugno 2017

Autore:

redazione


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