“SPECIE ESTINTE” – Parlando di una specialità di limone pressochè scomparsa … non si può non ricordare Pippo Gentile
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“SPECIE ESTINTE” – Parlando di una specialità di limone pressochè scomparsa … non si può non ricordare Pippo Gentile

Prima di addentrarci nell’articolo, di una “cultivar” pressochè scomparsa, quella del Femminello Brolese, ma che potrebbe rappresentare tanto di nuovo, è quasi d’obbligo ricordare Pippo Gentile. Forse l’ultimo “limunaro” di Brolo recentemente scomparso. Con lui è andato un pezzo di storia, di lavoro, di conoscenza, di quella che è stata la grande epopea della lavorazione dei limoni a Brolo. Ed il professor Carmelo Caccetta dedica una recente pubblicazione sulle attività agrumicole della zona.

Ed iniziano proprio da lui.

Giuseppe Gentile, per tutti Pippo, 76 anni appena compiuti, è andato via così, all’improvviso, portandosi dietro l’odore di zagara e verdelli tra gli Angeli.

Era forse l’ultimo autentico “uomo da magazzino” che a Brolo poteva raccontare l’epopea, vissuta in prima persona, quella dei Limoni.

Quella che vedeva partire dallo scalo di Brolo, vagoni zeppi di agrumi appena fioriti, che dava redditi, costruiva “dipendenze” ma che per certi versi con le donne che lavoravano nei magazzini segnò un momento di emancipazione culturale e sociale.

Un’epopea che segnò la nasciata di una nuova economia, tagli tra i ceti sociali, e così a fianco agli storici proprietari, i Germanà, Gembillo e company, nascevano nuove figure “economiche”, come i commercianti, i sensali e quelli che avevano i magazzini e che davano il lavoro.

Da lì a poco sarebbero arrivati i muratori che poi divennero gli imprenditori del cemento.

Di fatto Pippo Gentile lavorò sempre in questo comparto, quello dei limoni , già da piccolissimo, quando rimase orfano, ad un anno, del padre che faceva il pescatore.

Poteva far questo mestiere, come i suoi due fratelli, oppure scegliere quello dei “magazzini”.

Optò per questo, e fece tutto quello che c’era a fare.

Dal raccogliere i limoni all’incascittarli, dal ripulire le casse, una volta svuotate prima di rimandarle nei giardini al caricarle sui vagoni.

Sapeva dividere, tra colpo d’occhio e tatto delle mani,  per calibro gli agrumi, e vide sorpreso l’arrivo anche dei grandi nastri a rullo che lavavano e separavano i frutti per grossezza.

Era il progresso. L’innovazione che arrivava come la telescrivente che negli uffici sopra il magazzino inviava risposte agli ordini che giungevano dalla Germania e dall’Inghilterra. Era il tempo del Capob, dei Ziino, dell’accoppiata vincente di Dotto e Mimmo Caranna.

Don Pippo fece fa piccolo anche il “pruituri“- cioè quell’atto di  porgere i frutti avvolti in carta velina agli impaccatori (che era quello che sarebbe diventato poi lui, un “mastru“) che li sistemavano con assoluta regolarità in strati all’interno di cassette per la spedizione facendo ben attenzione che il marchio dell’azienda risultasse esattamente al centro dell’involto, ben in mustra.

E poi si portava appreso, a casa – dove il suo lavoro era finalizzato, prima a port avanti la famiglia priva del padre, poi quella sua ed anche a far studiare i figli – sui vestiti, l’odore del definile,  quel prodotto chimico con cui veniva trattata la carta velina sia per mantenerla morbida ma anche per mantenere più a lungo il frutto dal deperimento e dalla muffa.

Un odor che, per chi è entrato almeno una volta in un magazzino di limoni, è difficile da dimenticare.

Gentile, di nome e di fatto, sorridente, con uno strano coltello sempre a portata di mano, che serviva per levare dai peduncoli dei rami le nodosità o le spine dagli spezzoni monchi dei rami, sempre pronto a regalare i “cedri” o una borsa di verdelli. Al tempo a Brolo nessuno comprava i limoni per usarli a casa, sulla carne o per sgrassare i piatti.

Lavorò prima con Mimmo Caranna, poi seguì  le sorti dell’azienda che passò agli Agnello di Gioiosa Marea.

Ma lui non si mosse da lì, sempre alla Marina, sin quando l’attività non si spostò a Malpertuso.

Ora non era più un operaio, ma da lui passava il tutto. Era quello che oggi si può definire un direttore di produzione e di magazzino.

Rimase per tutti Don Pippo, umile e rispettoso, rispettato e consapevole che conserva il “sapere” di una filiera che oggi non c’è più,  come quel magazzino, che si affacciava sul lungomare di Brolo, una volta là c’erano ancora i giardini, tra la colonia e una vecchia balera, e che forse con grande dolore e nostalgia ha visto abbattere solo due mesi prima che morisse.

Storie brolesi che non ci sono più alla pari del Femminello di Brolo, una specialità tra le tante dei limoni siciliani.

Una cultivar della quale si sconosce la sua  origine genetica, probabilmente una mutazione gemmaria dal Femminello Comune che deve il suo nome al luogo, Brolo, dove venne principalmente coltivato.

Considerato un Limone invernale si legge  che tra le sue caratteristiche aveva il colore della buccia giallo chiaro con superficie papillata e con forma ellittica, dalle dimensioni medio-grosse. La buccia era di spessore medio, il flavedo mediamente ricco di olio essenziale, dal succo abbondante di elevata acidità con semi sono numerosi.

I Bianchetti della specie sono di colore giallo chiaro con superficie finemente papillata, la forma é ellittica, medie le dimensioni. All’interno la buccia ha uno spessore medio, mediamente abbondante ed il succo anche in acidità; i semi sono in numero medio.

I Verdelli: la buccia é di colore verde con superficie papillata, di forma ellittica e di medie dimensioni. Internamente la buccia ha uno spessore medio; il succo, giallo citrino, mediamente presente anche in acidità. In numero medio sono i semi. La buccia (flavedo ed albedo) sono di spessore medio; in quantità media anche il succo; pochi sono i semi.

La pianta di medio vigore con la chioma rotondeggiante e semidensa; le foglie avevano il margine fogliare seghettato a forma ellittica. I fiori sono di grossezza medio-grande con petali bianchi e sfumature viola, normalmente crescono isolati.

Una pianta pressochè estinta. Vive ancora nei vivai della Regione Siciliana, nati per conservare dall’estinzione queste rarirà. Potrebbe essere interessante un suo recupero. Tramutarlo come una sorta di prodotto Doc o Igp per dar vita ad una filiera dai dolci ai liquori, dal gelato a tanto altro, visto che il limone viene sempre più utilizzato nella cosmesi e per diete e trattamenti sanitari.

Potrebbe essere un’idea.

Ed intanto sulla storia del limone, delle coltivazioni e delle aziende e cooperativa, vecchie e nuove, che hanno operato in questa parte dei nebrodi è da poco stato stampato un interessante lavoro del professore Carmelo Caccetta.

Lui, dopo avere raccolto per anni, reperti, vecchie immagini e documenti, ha pubblicato il libro – per i tipi dell’Archeoclub di Capo d’Orlando – con l’intento di contribuire a far conoscere le origini, la storia, le cultivar, gli straordinari poteri del Limone e “per lasciare nelle giovani generazioni le minuziose testimonianze raccolte attraverso interviste ad anziani operatori agrumicoli del passato: maestranze, sensali, caporali, proprietari, lavoratori di consorzi e cooperative, commercianti di limoni”.

In questo lavoro Caccetta ho voluto mettere in evidenza, attraverso il titolo Costa Tramontana, la terminologia con cui fino al secolo scorso veniva commercializzato e apprezzato il limone prodotto sul territorio, ritenuto un’eccellenza sui mercati italiani ed esteri.Una serie di documenti che diventano storia di un territorio. Da Leggere.

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3 Marzo 2018

Autore:

redazione


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