SPORT & RISCATTO – Una foto simbolo nella serata della finale degli Europei
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SPORT & RISCATTO – Una foto simbolo nella serata della finale degli Europei

 

Ci piace ricordarli così, nella serata dove si celebra lo sport, il calcio europeo.

Lo sport come denuncia.

Il calcio poteva diventare uno strumento per denunciare l’antidemocrazia dei paesi che ospitano questa manifestazione che non rispettano nè i cani nè i bambini nè i principi della democrazia.

Un’occasione perduta… peccato.

Ma tornando alla foto.

Ingrigiti e un po’ appesantiti. Sicuramente non più veloci come in quell’olimpiade. Ma con la stessa consapevolezza, che avevano nell’ottobre del 1968, quando a Città del Messico, stupirono il mondo. Tommie Smith e Lee Evans, gli uomini jet dell’Olimpiade messicana, ma certi di aver fatto la cosa giusta.

Dalla pista alla medaglia fu un soffio: record del mondo su 200 e 400 e oro per entrambi.

Quello che successe durante la premiazione è storia: Smith e il compagno John Carlos, primo e terzo sul mezzo giro di pista, scalzi tranne le calze nere sul podio, con il pugno guantato chiuso e il capo chino mentre suonavano le note di “The Star – Spangled Banner”.

Evans, che stracciò il primato sul giro di pista, si avviò a ritirare la medaglia d’oro, con l’aria scanzonata del suo basco nero. In realtà era serissimo, sicuro che stessero per sparargli.

Ma si diceva, ridi, Lee, ridi, perché è più difficile sparare a un uomo che ride.

Anche lui alzò il pugno sul palco.

Black Power: l’orgoglio di uomini che erano stufi di essere trattati come cani da corsa.

Negli anni in cui James Brown cantava: “Sono nero e me ne vanto”.

Nessuno avrebbe più dimenticato.

Gli tolsero le medaglie e li cacciarono dai Giochi. L’America lacerata promise vendetta.

“Se ne pentiranno per il resto della loro vita”, disse Payton Jordan, capo della rappresentativa statunitense.

Avvertimenti più spicci e minacce di morte li accolsero al loro rientro in patria.

Tommie Smith ha chiuso con l’atletica a 24, (mentre il suo primato resistette ancora 11 anni prima di venire battuto da Pietro Mennea). Per 10 anni non ha potuto trovare lavoro nonostante due lauree: in educazione fisica e sociologia.

La vendetta del suo Paese.

Non è andata meglio a Lee Evans, anche lui proveniente dalla “San José State University”. Ci sono voluti 21 anni prima che Butch Reynolds battesse il suo primato. Lui aveva già lasciato gli Stati Uniti da un pezzo. Destinazione Africa sulle tracce dei suoi antenati. Ha trascorso sei anni in Nigeria, due in Camerun e Madagascar, insegnando atletica a talenti che non avevano mai avuto buoni maestri. Senza mai rinnegare la sua scelta.

Nel segno di Obama. “Volevamo rappresentare l’altra faccia del nostro Paese – racconta Smith -. Dare voce a un sentimento che sentivamo il bisogno di esprimere: la consapevolezza di essere oppressi, fin dalla nascita. Correre non era l’unica cosa che sapessimo fare”.

Una decisione libera, che poco aveva a che fare con la militanza. “Non mi reputo un militante – spiega Smith -. “Abbiamo deciso di affrontare un problema di cui nessuno si curava, senza preoccuparci del giudizio degli altri. Abbiamo compiuto un sacrificio sperando di spianare la strada ai ragazzi dopo di noi, perchè avessero un’opportunità”.

Come quella che è capitata oggi a Barack Obama, che potrebbe essere il primo presidente nero degli Stati Uniti. “Obama è uno dei giovani – dice Evans -. Ha un atteggiamento diverso: sa di poter vincere. È il candidato migliore, capita che sia anche nero. Noi siamo neri, e lui come noi può farcela”.

1 Luglio 2012

Autore:

admin


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