Si è svolto ieri, nell’Orto Botanico di Palermo, lo spettacolo musicale Storie di Tarantismo in Sicilia, ideato dal Professor Sergio Bonanzinga, docente di Etnomusicologia e Antropologia della musica, presso l’Università di Palermo.
Un viaggio inaspettato e inusuale, emozionante fino all’ultimo istante, guidato dalla narrazione storica di Francesca Chimento, voce narrante e quasi officiante dello spettacolo, il cui tono cristallino è stato segno chiaro per lo spettatore che da lì a poco sarebbe stato irrimediabilmente coinvolto, sconvolto, liberato… sanato.
Non avrei immaginato di far parte di uno spettacolo “guaritore” ove l’esposizione storico-antropologica sarebbe diventata una dimensione parallela per vivere un’esperienza così totalizzante e di con-divisione.
Sin dalle prime note di questo excursus terapeutico-musicale, partito da lontano con le sorprendenti testimonianze del 1641 di Kircher, Stu pettu è fattu cimbalu d’amuri. Il ritmo frenetico fa già immaginare la compulsione amorosa di chi non trova pace.
L’ensemble esegue i brani con grande maestrìa, facendo rivivere i variegati moduli popolari siciliani ove il friscalettu, quasi ipnotico, e la preziosa scansione ritmica dei tamburelli e dei plettri hanno armonizzato sapientemente i riti guaritori dal morso della taranta.
Efficace, a tal proposito, l’esecuzione de le Due tarantelle da Antonino Di Micheli 1680 e le Due tarantelle da Xavier Cid 1787: il pubblico non resiste, e comincia ad alzarsi, a lasciare le sedie per muoversi… nessun battito può sfuggire all’impulso di chi segue con trasporto, senza freni inibitori, lo scivolar di note così magnetiche e viscerali, dal sapore antico ma tremendamente vicine allo spirito di un tempo in cerca di cura!
E’ un’energia contagiosa: anche quando entra in scena il mursicato, avvolto da fasce bianche, assistito da due donne in costume d’epoca, che comincia la sua danza frenetica al ritmo di una tarantella siciliana – riproposizione coreografata di un fatto realmente accaduto nel 1809 a Corleone, ovvero Bernardo Timpa chiede soccorso ai medici dopo essere stato «mursicato da un aragno» .
Tutti, ormai in piedi, vogliono vedere la danza del tarantolato, compulsiva e spasmodica e non perdere alcun istante della guarigione.
Quando si riprende fiato e lo scrosciante applauso ci fa balzare un passo avanti nei secoli, il suono dello zufolo prepara alla taràntula nacalora – una ninnananna guaritrice – di cui esempio più vicino sono le commoventi Ninnananne di Racalmuto e Santa Caterina Villermosa*, eseguite a cappella da una, a dir poco, straordinaria Matilde Politi.
Come non sentire nelle pieghe armoniche della sua voce popolare le paure e gli affanni di madre, che scavalcando i secoli e gli status sociali, arriva integra e pura a tutti: è una sorta di invocazione toccante e ancestrale, eseguita con solismo penetrante e arcaico.
Lo spettatore è incantato.
Tutto intorno resta muto, fin quando cambia il ritmo della musica per suscitare lo spirito della tarantula ballarina.
Il pubblico è, quindi, travolto dalla danza convulsa della brava Barbara Crescimanno, che si dimena a terra ben rappresentando le reazioni del morso velenoso, e ormai si fonde con i ritmi penetranti di tutto l’organico strumentale.
Solo l’applauso caloroso ci risveglia riportandoci alla parte finale dello spettacolo dedicato alle tarantelle dei barbieri e a canzoni variamente ispirate al tema del tarantismo, come le varianti Mi pìzzica mi mùzzica, raccolte da Alberto Favara all’inizio del ‘900 e La mia taràntula mi mùzzica lu pedi, registrata a Marina di Patti nel 1978.
Lo spettacolo si conclude con l’incalzante ritmo della zampogna e il ballo di tutti i partecipanti mentre in preda ad un tripudio estasiante, il pubblico riserva scroscianti applausi.
*Dolalò e ddolalòloliddu
la nacaredda voli pi ddurmiri.
Ddoru li circa e ddargentu li chiova,
la nacaredda voli pi ddurmiri.
Chi àvi la piccilidda ca mi chianci?
L àiu malata, cuccata a lu lettu.
Nun sàcciu a qquali santu l’ê vvutari,
la vutamu a Mmaria di lu Munti
ca è lla riggina di tutti li santi!
…
Nun mmoli durmiri e llu sunn àva ffari,
è picciridda e nnuù,
è picciridda e nnun mi voli stari.
Nun mmoli stari ca è mmalatedda,
diri nun mi lu saà,
diri nun mi lu sa unni cci doli.
E si cci doli la spadda e llu pettu
o puramenti laà,
o puramenti la dolci vuccuzza.
Nello spettacolo:
Gioacchino Comparetto (flauto barocco, friscalettu), Barbara Crescimanno (danza, tamburello), Giuseppe Giordano (canto, chitarra), Maria Alba Mangione (danza), Silvio Natoli (viola da gamba, chitarra a cinque cori, colascione), Giuseppe Paradiso (danza), Michele Piccione (chitarra battente, zampogna, tamburello, marranzano), Matilde Politi (canto, chitarra) e Raffaele Pullara (violino, mandolino).
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