Erano andati a Messina cercando il dialogo, il colloquio, con i vertici della Provincia, rivendicando il diritto allo studio ed a farlo dentro un Istituto che sia degno di chiamarsi tale, e non in fatiscenti locali.
Un diritto a loro negato da cinquant’anni.
Una ferita ed un’onta che hanno vissuto intere generazioni che hanno frequentato il liceo pattese, e che ora sono anche quei politici che ne potrebbero definire la sorte.
Una protesta civile, corretta, democratica, composta, sotto l’inutile e nervoso muoversi di manganelli in mani guantate, pronti a scattare… ma il buon senso ha retto e nulla si è rotto.
“Li dentro eravamo in 30” – dicono i ragazi dello sparuto nucleo al quale è stato concesso di “dialogare” con Nanni Ricevuto, mentre scendono le scale della Provincia – “Noi, solo in 5, poi Nanni Ricevuto – il Presidente -, l’assessore Di Bartolo, l’ingegnere Carditello, il sindaco di Milazzo (presenza inutile ed inspiegabile) e un’altra quindicina di belle facce, politici di turno, direttori e funzionari.
Gli altri studenti sulle gradinate del “palazzo” stavano lì, inneggiando slogan, qualche pugno chiuso, tanti sorrisi, gli striscioni fatti con gioia, un ragazzo con la maschera di morte, anche lui identificato dagli agenti, brandiva una falce in cartapesta, simbolico segno del degrado della Scuola, oggi senza fondi, con professori senza motivazioni, dove c’è differenza – e tanta – tra “nord ” “sud”, tra pubblico e privato.
“Noi siamo stati chiari e diretti sin dall’inizio – dicono in coro i cinque rappresentanti dell’istituto scientifico di Patti – senza alcun timore nel dire le cose, diretti nell’affermare e ribadire la loro inefficienza politica. Così abbiamo iniziato a parlare di bandi, di tutto quello che in 5 anni non sono stati in grado di fare o che hanno fatto per salvarsi la faccia.
Loro – aggiungono – giustificavano tutto con “iter burocratici” – (oppure addossando la colpa al sindaco di Patti che ha respinto ogni accusa. ndr).
L’ingegnere Carditello era in piedi di fronte a noi, sorrideva , anzi ci rideva in faccia, guardandoci negli occhi e diceva ad un altro burocrate “non c’è niente da fare, non capiscono“.
Ci parlavano di sopra e dicevano che dovevamo avere rispetto.
Al che abbiamo chiesto: “ma perché i nostri compagni non li avete fatti entrare mentre qui ci sono tante persone che non c’entrano nulla?”
Beh, la risposta di Ricevuto è stata: “perché siete violenti ed io temo per la mia incolumità“.
Violenti! Ecco cosa siamo per loro.
Noi siamo violenti.
Noi che il gesto più violento che abbiamo fatto è stato urlare tutti insieme “Vergogna” in faccia a Ricevuto.
Ebbene, noi siamo violenti?
Noi che subiamo la violenza della Politica tutti i giorni, che offende le nostre intelligenze, le nostre aspettative, violenta il nostro futuro.
Però …. quando accenniamo alla plafoniera caduta… quindi parliamo di sicurezza dei locali Nanni Ricevuto risponde “Si quando ero giovane anch’io svitavo le plafoniere“.
(Bella Risposta, Bell’esempio. Bel dire da rivoluzionario ora in giacca e cravatta. ndr)
Violenza è però anche quella del burocrate, il dire di chi, forte di un lustrino gerarchico, urlava in faccia a quei ragazzi, a chi rivendicava un diritto, con un alito pesante “devi stare zitto” “devi ascoltare quello che dice il presidente” “hai 18 anni e comportati da 18enne. guarda chi hai davanti e porta rispetto“. E continuava, tronfio: “vi faccio buttare fuori a colpi di manganello… state calmi altrimenti...”
MINACCE, INTIMIDAZIONI PERCHE’ NOI SIAMO I VIOLENTI dicono all’unisono i ragazzi, scendendo le scale.
Un impatto devastante che porta di fronte a quello che è “un andazzo quotidiano”, che demoralizza i giovani, li disillude… così Roberto Gammeri, uno del quinto, uno che ci crede, scrive subito dopo il rientro a Patti, ai suoi amici e compagni, quasi duecento, che erano stati, per nulla scoraggiati dal maltempo, a protestare a Messina.
Innanzitutto sono io a dover ringraziare voi: che con quel “io sono Gammeri” , susurrato, parlato, urlato, è stata la prova di quanto oggi fossimo uniti”.
Infatti Roberto era stato identificato dalla Polizia appena sceso con gli altri, dal treno… poi un responsabile della Digos avviciandosi al gruppo dei ragazzi manifestanti, aveva chiesto: ” Chi è Gammeri?”, e da qui il coro – susurrato, parlato, urlato – di risposta. Un “Io sono Gammeri” – che certamente ricorda la pubblicità progresso di qualche anno fa, e la risposta al professore che chiedeva “Di chi è?” Con l’intera classe che rispondeva: “è mio!” e che da il senso della compattezza.
“NOI oggi credevamo in quel che stavamo facendo – continua a scrivere nel suo post Gammeri – pioggia, vento, digos, non ci ha fermati nessuno.
Uniti, oggi, ci siamo presi quel Palazzo ed abbiamo letteralmente URLATO IN FACCIA LA NOSTRA RABBIA a chi di noi se ne è sempre fregato.
Ci siamo presi quello spazio che ci hanno sempre tolto e la nostra voce oggi, ne sono certo, si è fatta sentire.
C’è da dire però che ho sempre sostenuto la mia contrarietà all’incontro con le delegazioni (ognuno di noi crede in quel sogno quanto o più di me e non è giusto che non abbia potuto assistere) e vi chiedo scusa se oggi vi ho preso parte.
Ad ogni modo, è giusto che tutti sappiate, e lo dico con tanta amarezza, che in quella stanza siamo stati minacciati più volte.
Ridevano, si dicevano “non capiscono, non c’è niente da fare”.
E noi li di fronte a cercare ancora un dialogo.
Ma un dialogo con chi? con chi, cazzo?
Nessuno ci ha difeso.
Eravamo 5 contro 20. Abbiamo avuto dei risultati, è vero, e questo è un grande passo avanti. Io non voglio mai più dialogarci con loro.
Io, studente, non voglio mai più che qualcuno mi rida in faccia o mi urli contro, quando parlo dei miei diritti e di tutti gli studenti che, in quel momento, rappresento.
Abbiamo vinto, oggi, si. Ma io da quella stanza ne sono uscito nauseato”.
E suonano, lontane, stantie, le parole di un dirigente della provincia “non sono problemi vostri le scelte che fa il Presidente“.
Ma allora di chi? Se non di quegli studenti costretti anche al freddo in aule ghiacciate, senza he nessuno si prendi la briga di autorizzare l’apertura dei riscaldamenti.
Meno male che fra qualche mese si vota sperando che sia l’ultima volta e che venga presto la legge che azzeri quest’Ente inutile.
Massimo Scaffidi
foto Cetty Tripi
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