“Sub Tutela Dei”, la mostra dedicata a Rosario Livatino
Si è conclusa a Patti la mostra “Sub Tutela Dei”, dedicata alla vita, al martirio e alla santità di Rosario Livatino.
A promuoverla è stato il “Centro di solidarietà <Massimiliano Kolbe>”, che da trentaquattro anni si prodiga nel campo della carità e dell’attenzione verso gli ultimi, nonché in quello della formazione spirituale e culturale (Mensa quotidiana di solidarietà, Banco di solidarietà, Doposcuola per minori, Accoglienza di soggetti messi alla prova, Colletta alimentare, Mostre, Convegni, Dibattiti, ecc.)
Già esposta nell’estate scorsa al “Meeting” di Rimini, di “Comunione e Liberazione”, la Mostra era stata inaugurata nel Convento di S. Francesco, di Patti, il 4 febbraio, col saluto del Vescovo Mons. Guglielmo Giombanco e con gli interventi della giudice pattese Anna Adamo e dell’avv. Salvatore Taormina, uno dei curatori nazionali; moderatore, Giovanni Scardino.
Si è chiusa giorno 11, con un Convegno sulla figura di Livatino, che ha preso spunto dal libro di don Pio Sirna: ”Rosario Livatino. Identità, Martirio e Magistero”.
Relatori del Convegno: il Procuratore Europeo Gaetano Ruta e il prof. Paolo Corsini, con la presenza e la testimonianza speciale del Vescovo Mons. Carmelo Ferraro; moderatore l’avv. Marco Conti Gallenti.
Più di millecinquecento i visitatori della Mostra, soprattutto studenti e insegnanti, “nova speme d’Italia”, provenienti da numerose sedi, da Messina a Sant’Agata, da Sinagra a Naso, da Patti e Capo d’Orlando a Barcellona, ecc.
Il racconto della mostra.
Scendendo giù per via Cappellini, una delle strade più antiche di Patti, che dal Municipio si inoltra verso la Chiesa Convento di S. Francesco attraverso un percorso tanto impervio quanto suggestivo, si arriva all’ingresso della grande sala conferenze dove un gruppo di giovani, ma anche qualche signora e alcuni professionisti, da giorni prestano generosamente servizio per la riuscita di una manifestazione che si rivela una felice sintesi di fede e di giustizia, di osservanza della Parola di Dio e di responsabilità professionale e umana.
Sono volontari che danno il benvenuto all’incontro conclusivo, offrendosi di guidare gli ospiti fra i pannelli della mostra così come avevano fatto nel corso della settimana con scolaresche, universitari, associazioni e tanti cittadini comuni, commentando i cartelloni esposti in ampi spazi dove squarci panoramici di Patti, con lo sfondo del mare e delle isole, si intercalano con rappresentazioni del cammino umano e spirituale del giovane magistrato barbaramente ucciso dalla mafia.
L’inizio del percorso, all’ingresso della prima sala, ci introduce con brutalità nel momento culminante della tragedia. In una registrazione dalla regia straordinariamente realistica, sono riconoscibili il rombo del motore, lo sparo, gli insulti dell’assassino al magistrato morente, il suo respiro affannoso per le gravi ferite riportate e infine l’ ultimo interrogativo di un giusto innocente: “Picciotti, che cosa vi ho fatto?”
Si fa poi un passo indietro nel tempo, entrando nel merito della educazione di Livatino, del territorio e dell’ambiente sociale in cui è vissuto fin dall’infanzia: la famiglia, la scuola, la parrocchia, ma anche il contesto storico di quell’epoca marcatamente segnata dalla presenza mafiosa, e in particolare a Canicattì, dalla Stidda, una “stella” in crescita, un ramo di mafia avversaria dei boss di Corleone.
Di grande interesse il periodo degli studi, dalle elementari al liceo. Negli ultimi anni il giovane Livatino era stato seguito dalla Prof.ssa Ida Abate che di lui ha dato una delle più belle testimonianze nel libro “Il piccolo giudice”.
Poi la formazione giuridica, con particolare enfasi sulla sua concezione del magistrato come operatore di giustizia che richiede il massimo dell’impegno, mettendo a disposizione tutta la sua intelligenza e il suo rigore professionale nella ricerca della verità al servizio del bene comune.
Tanto, purtroppo, è bastato per attirare l’attenzione della mafia su di lui. Il Presidente O.L. Scalfaro
nella prefazione al libro della Prof.ssa Abate, citando la Costituzione, ha scritto: “La Magistratura
costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere” (artt.1 e 4) e “I giudici sono
soggetti soltanto alla legge” (art.101). Scalfaro faceva riferimento proprio al giudice Livatino come
esempio vivo di autonomia e indipendenza del magistrato: è fin troppo ovvio il netto contrasto con i dettami della mafia.
Don Luigi Ciotti evidenzia, a sua volta, la totale adesione di Rosario ai princìpi del Vangelo: “In quella fede pura e intransigente, i mafiosi videro l’ostacolo insormontabile a corromperlo e a sperare in un progressivo indebolimento della sua azione di giustizia”.
Due delle nostre guide suscitano in noi ascoltatori una grande emozione, nel farci entrare nella “stanza del martirio”, ricordando Piero Ivano Nava che, trovandosi casualmente a passare là dove si era compiuto il terribile assassinio e avendo testimoniato contro la mafia, ha visto la sua vita sconvolta, costretto ancora oggi a vivere sotto copertura.
Consapevoli di quanto numerosi siano gli indifferenti rispetto a coloro che mettono in gioco la tranquillità della propria vita per farsi testimoni di verità, in un’ottica di fede anche solo laica, possiamo considerare il comportamento del Sig. Nava il primo vero miracolo di questa terribile vicenda.
Commoventi anche le lettere di pentimento di alcuni dei partecipanti a questo infame delitto, che
appaiono come illuminazioni dal Cielo.
Parte importante della mostra è un filmato che raccoglie vari luoghi significativi nel ricordo non solo di Livatino ma anche della reazione della Chiesa nei confronti della mafia.
Mons. Ferraro, Vescovo di Patti dal 1978 al 1988 e Arcivescovo di Agrigento, quando il Giudice Livatino fu ucciso, e il 9 maggio 1993, quando Giovanni Paolo II fece la sua apocalittica e profetica omelia contro la Mafia sotto i templi di Agrigento, adesso è seduto su una poltroncina, sostenuto da un caro amico, volontario anch’egli, e guarda immagini che anni fa aveva visto dal vero.
Testimone diretto della storia di Livatino, rimane con noi al Convento San Francesco fino alla fine della manifestazione.
Nell’ultima stanza un semplice indumento, una commovente reliquia: la camicia insanguinata, l’ultima indossata dalla vittima.
Accoglienza e fedeltà alla storia non sono necessariamente caratteristiche abbinabili.
Le ho messe insieme in segno di gratitudine nei confronti delle volontarie e dei volontari del “Centro Massimiliano Kolbe” che hanno accolto i numerosi visitatori lungo tutta la settimana e che tanto si sono spesi per la riuscita di questo evento.
Non è, infatti, facile saper coniugare conoscenze approfondite dei fatti con emozioni e sentimenti di stupore, che solo una narrazione fedele agli avvenimenti, coinvolgente e ricca di amore, può trasmettere.
Una persona che ha visitato la mostra.