Un trio “stellare” dalle variegate qualità ed attitudini artistiche, composto da Alessandro Haber, Paolo Fresu e Trilok Gurtu, tra parole e musica, ha incantato il numerosissimo pubblico accorso sulla collina di Curraggia, a Tempio Pausania, per godersi una delle tappe principali di Time in Jazz 2012.
“Il fuoco” è stato il tema di quest’ultima edizione del festival diretto da Paolo Fresu, e come tale, la performance, con Haber voce recitante, Fresu alla tromba e agli effetti e Gurtu alle percussioni, ha assunto un’importanza particolare, poiché ad ispirare il tutto è stata l’emozione di un drammatico ricordo.
Era il 28 luglio del 1983 quando uno spaventoso incendio, sviluppatosi in quell’area, devastò migliaia di ettari di territorio, uccidendo nove persone (Diego Falchi, Salvatore Pala, Silvestro Manconi, Tonino Manconi, Claudio Migali, Tonuccio Fara, Gigi Maisto, Mario Ghisu e Nino Visicale) e ferendone altre quindici, tutte impegnate nello spegnimento del fuoco.
Le ferite del territorio ed il dolore dei suoi abitanti sono realtà ancora vive che purtroppo si perpetuano costantemente ogni qualvolta i tremendi roghi si ripresentano, come successo lo scorso anno tra Oschiri e Berchidda.
La Sardegna, la Gallura, i suoi abitanti non dimenticano e Paolo Fresu, da uomo e artista particolarmente attento e sensibile quale è, ha inteso lanciare un messaggio che ne segnasse il ricordo e al tempo stesso veicolasse verso la gente e le istituzioni il tema della salvaguardia del territorio e dell’ambiente. Ed in questo il grande jazzista sardo che partendo proprio da quella terra ha conquistato le platee del mondo, si dimostra un trascinatore come pochi.
La location dell’evento è davvero suggestiva: il sito monumentale commemorativo di Curraggia, luogo che domina le valli incise tra i monti della catena del Limbara, è stato praticamente “invaso” dal popolo di Time in Jazz, quantificabile almeno in un paio di migliaia di persone, molti delle quali provenienti dal concerto mattutino di Bill Frisell, tenutosi nella vicina Telti, nell’area del dismesso arsenale militare.
“Il salto, la lingua, la mano”, produzione originale di Time in Jazz, è stato il titolo del recital, consistente nelle letture di alcuni passi scelti da Fabrizio Crasta e Simona Lippi de “La strada” di Cormac McCarty, e di “Passavamo sulla terra leggeri” di Sergio Atzeni.
Il testo di McCarty, letto magistralmente (e non poteva essere altrimenti) in tono raccolto, con la sua caratteristica voce, dall’attore bolognese, con lo straordinario supporto musicale tra sottofondi e intermezzi di Paolo Fresu e Trilok Gurtu, è ricco di sentimenti e suggestioni poetiche che accompagnano i contenuti inquietanti di un dramma.
Grazie ad una pregevole selezione narrativa ed artistica, viene idealmente costruito un “parallelo” tra un disastro nucleare che annienta il mondo svuotandolo della vita ed i devastanti roghi del Limbara, portatori di morte e distruzione.
Nella catastrofe, un uomo ed un bambino, papà e figlio, vagano verso l’oceano, lungo una strada, in cerca di un barlume di vita, trascinando con sé un carrello con del cibo, un telo impermeabile, un binocolo ed una pistola per difendersi dai predoni. Li accomuna uno straordinario, smisurato, amore reciproco.
C’è del biblico nella struggente narrazione di McCarty, che passa dall’ineguagliabile recitazione di Haber: “Salirono di nuovo sulla collina e si accamparono sulla terra asciutta sotto le rocce; l’uomo si sedette e abbracciò il bambino nel tentativo di scaldarlo. Avvolti nelle coperte aspettarono che quell’oscurità senza nome li coprisse col suo manto.
Al calar della notte la sagoma grigia della città svanì come un fantasma e lui accese la piccola lampada e la sistemò al riparo dal vento. Poi si rimisero in marcia e tenendosi per mano raggiunsero la sommità della collina, il punto più alto della strada da dove potevano spaziare sul territorio a sud che imbruniva, in piedi, nel vento, avvolti nelle coperte, in cerca di qualche traccia di falò o di luci. Non c’era niente.”
Sensazionale è la frase conclusiva dell’attore, che lascia spazio ad un favoloso finale musicale di Fresu e Gurtu: “(…) Nelle terre dove vivevano, ogni cosa era più antica dell’uomo e vibrava di mistero…”
E’ impossibile non rilevare quanto la mente di chi ascolta, a questo punto, si colori di Sardegna.
Ma il riferimento letterario ed identitario dell’isola, per eccellenza, è sicuramente l’opera di Sergio Atzeni, “Passavamo sulla terra leggeri”, narrativa dal carattere epico, mitologico sulla Sardegna.
La lettura di un altro segmento di quest’opera aveva visto protagonista, in altre occasioni, Lella Costa, sempre a fianco di Paolo Fresu. Di lei si ricorda l’esibizione a Berchidda per Time in Jazz 2007, oltre quella, naturalmente, avvenuta lo scorso anno a Uta, in provincia di Cagliari, nella chiesa di Santa Maria. Tale evento, cui partecipò anche Flavio Soriga, fu una delle cinquanta tappe di “Cinquant’anni suonati”, mitico tour che Paolo Fresu effettuò girando in lungo e in largo la Sardegna in occasione del suo cinquantesimo compleanno.
Alla lettura di Haber viene affidato un passo che narra di storiche resistenze all’invasore, di villaggi armati, di sbarchi, nemici e strategie per combatterli, ma anche di isolamento e guerre interne.
Il finale contiene il più alto significato simbolico di questa magnifica terra: “Un urbis meglio sarebbe aver meno guerrieri e più pastori”.
Corrado Speziale