Attualita

TONY GANGITANO – “I giovani devono vivere il set in tutte le sue sfaccettature e non solo farsi notare, ma anche piacere a se stessi… nel senso che se ci si dà autenticamente, prima o poi, i risultati arrivano!”

Intervista realizzata da Giulia Quaranta Provenzano

Oggi la nostra collaboratrice Giulia Quaranta Provenzano ci propone un’intervista di approfondimento a Tony Gangitano. Il regista italiano si è un po’ raccontato all’imperiese che, creativa a tutto tondo, ha anche studiato recitazione con l’attore e sportivo professionista cosentino Giuseppe Morrone…

Buongiorno Tony! Lei è uno stimato attore e un noto regista, pertanto le vorrei domandare cosa l’affascinava da ragazzo e cosa ama oggi della recitazione tanto da decidere d’inoltrarsi, quale suo percorso di una vita, in quest’arte. “Buongiorno Giulia! Da ragazzo mi affascinava lo schermo enorme del cinema e come sembravano enormi anche i suoi personaggi al punto, quasi, di viverli come se mi fossero stati accanto. Della recitazione amo l’opportunità che fornisce di essere se stessi nonostante ci si debba calare nel ruolo assegnato, ma non bisogna mai eccedere in ciò perché altrimenti si rischia di non essere credibili”.

Nella nostra prima chiacchierata ha affermato che da piccolo immaginava di intraprendere la carriera di dottore, poi di poliziotto e dopo ancora di maestro di karate ma che quello che da bambini si crede di divenire da grandi non accade quasi mai. Ebbene, come mai ha questo pensiero? …Sarà forse per tale ragione che, benché alla domanda di mia madre su cosa volessi fare una volta diventata adulta risposti <<Raccogliere le lumache>>, mentre in verità tutto il mio mondo è sempre stato nella natura tra macchine fotografiche, pellicole e nastri, penne, pastelli e pennarelli, ho finito per dedicarmi a ciò solo per hobby?! “Sono dell’idea che, sicuramente, ciò che sta nelle percezione di un bambino sia subordinato a quello che vede. Per esempio se si vede un film dove un dottore salva una persona o un poliziotto arresta un malvivente, oppure ancora si guarda una pellicola in cui un maestro di karate schianta a terra qualcuno, senza dubbio se ne viene rapiti e magari se ne rimane perfino catturati a lungo… ma poi è il tempo a declamare chi si è e cosa si vuole veramente e, a volte, quello che si desidera succede (così come, però, altre volte invece non accade che l’anelato si realizzi). Se anche da grandi qualcosa/qualcuno affascina, allora il sogno lo si può veramente concretizzare. Occorre tuttavia tenacia, la stessa che ha portato me a insistere e ad abbandonare tutto per dare completamente me stesso a quella che è divenuta la mia realtà da regista e attore”.      

Ha anche dichiarato: Per me l’arte è la memoria di un popolo che, attraverso la recitazione, può fungere da monito a tante cose. Un popolo senza ricordi dell’arte in tutte le sue forme, è un popolo ignorante”. È dunque questo uno dei motivi per cui ama parlare di persone e vicende reali e quindi i suoi lavori sono quasi sempre tratti da storie vere? Inoltre, vi è un’esistenza che l’ha particolarmente emozionata e verso la quale nutre profonda ammirazione? “A mio avviso tutti dovrebbero conoscere le radici del proprio popolo e delle identità a esso legate, soprattutto i ragazzi… altrimenti si gioca facile e anche male. È necessario capire che è il passato che ci ha permesso di arriva ad avere un’intelligenza tale da agire oggi non commettendo più gli stessi errori dei nostri predecessori. Io amo tanto incentrare il mio lavoro su storie vere e difatti quasi tutti i miei lavori appunto lo dimostrano. In verità nutro profonda ammirazione per ogni personaggio del quale ho trattato, a partire dal film UN SANTO SENZA PAROLE – che è la vera storia del frate cappuccino nicosiano, oggi Santo, Felice – fino a LUPO BIANCO. Quest’ultima citata pellicola racconta la storia, anch’essa vera, del filantropo vercellese Carlo Olmo. Altro mio, recente e ultimo, docufilm si intitola U CRISTU TRUVATU ed è la realmente accaduta vicenda del ritrovamento in una grotta di un’effige, datata 1618, del Cristo Nero”.

Sue sono altresì le parole <<(…) La recitazione ti fa esternare tutto il tuo essere, a volte anche le cose che non riusciresti mai a dire neppure a chi ami veramente>>. Ritiene dunque che una persona il cui super-io (regole, norme, principi morali, educativi) è preponderante rispetto all’es (pulsioni, istinti più primitivi) possa invece manifestarsi come io freudiano, che esprime in modo consapevole quello che è al mondo, grazie alla cinema e al teatro? “Sì… lo sostengo perché a volte ci si nasconde dietro la recitazione, pensando di non essere scoperti, ma – in funzione delle maschere che si adottano – viene fuori per l’appunto il nostro vero IO. Grazie proprio al cinema e al teatro, si aprono spiragli enormi che fanno viaggiare più di quanto si possa pensare – in pratica è lo stessa cosa che si verifica a un balbuziente che, quando canta, dà il meglio di sé in quanto l’arte lo tira fuori dal tunnel in cui vive e che combatte”.

Senza mezzi termini non ha fatto segreto che – citandola – oggi, secondo lei, l’immagine visiva gioca un ruolo molto sporco nella società. Con la detta espressione cosa intende nello specifico, si riferisce per esempio al fatto che taluni vogliano e pretendono di essere considerati attori semplicemente cavalcando l’onda dei social e della provocazione scostumata, del nudo voyeuristico “da ginecologi”?       “Oggi tutto è cambiato rispetto al passato… se una volta attori lo si diventava facendo tanti sacrifici tra dizione-recitazione-prove e porte sbattute in faccia, nel presente invece basta poco per essere messi sul podio con cose insensate e di scarso valore e cosiddetta a manifattura. Non è però assolutamente questo il mondo che immaginavano i grandi maestri come Roberto Rossellini, Federico Fellini, Mauro Bolognini, Sergio Leone e tanti altri ancora. Attualmente un po’ d’uso dei social dà notorietà e tutto si dimentica in fretta, ahinoi l’importante è apparire. Il nudo poi non ha più movente, cioè quello di attirare l’uomo nella più recondita stanza dei sogni… dacché oramai, anche in una semplice pubblicità, pressoché immancabilmente la donna rende il suo corpo oggetto di commercializzazione”.

Quando guarda o ascolta una persona, ha spiegato che la impressiona positivamente la sincerità del suo aspetto esteriore e interiore. Attualmente, tuttavia, ha notato – citandola nuovamente – che viviamo in un mondo di falsità tant’è che lei stesso considera importante usare i social però prestando attenzione a chi lo fa in maniera poco corretta (così da non perdere se stessi). Ci chiarifica ulteriormente questa sua posizione e se vi è un occorso specifico che ha cementificato e comprovato ulteriormente quella che è, a onor del vero, comunque già un’evidenza portata spesso alla cronaca? “È chiaro che la falsità vige su tutto ma, nel mondo del cinema, essa sta cominciando a stancare. Molti falsi e molti invidiosi distruggono l’operato dei migliori. I social sono un danno se li si usa male, all’opposto possono essere d’aiuto quando li si adopera con criterio (eppure la maggior parte dei ragazzi, e anche degli adulti, li impiega per scopi poco consoni rispetto alla loro più nobile potenzialità). Il problema cioè non sono i social in sé, bensì coloro che li utilizzano malamente. Mi fa rabbia che, in alcune situazioni al limite dell’esistenza, i ragazzi – anziché aiutare la vittima – la filmano per accelerare la messa in onda e intanto, in quel medesimo istante, lo sfortunato muore tra le mani del bullo in azione. Si è perso il senso della vera vita”.   

Mi ha confessato poi che ha idea che rinnovarsi sia fondamentale perché oggi il cinema e il modo di lavorare è diverso rispetto al passato e bisogna, non di meno sempre, cercare di piacere al pubblico seppure ciò comporti dei tagli a cose che si amavano e che si erano imparate col tempo. A quali “cose” fa riferimento e nonostante l’importanza dell’essere camaleontici, a suo avviso, vi sono comunque delle imprescindibilità alle quali non potrebbe mai rinunciare per nulla al mondo? “Mi riferisco al vero cinema fatto con criterio, con le formule che abbiamo imparato facendoci in quattro. Oggi tutto è appunto cambiato e dobbiamo adeguarci alla contemporaneità ma non si deve comunque abbandonare il dramma, l’amore, la commedia, la recitazione spontanea che non era sul copione e alla quale tuttavia il regista non dava lo stop perché era DOC ossia vera, autentica, di gran classe. Insomma, per certi versi, bisognerebbe un po’ tornare indietro nel tempo ché non si può accantonare tutto ciò che si è sudato per un digitale che gioca di effetti che costano un botto e nulla insegnano”.

Lei ha diretto il film “Lupo Bianco”, pellicola prodotta da CinemaSet, che racconta la storia vera del maestro Carlo Olmo. Quando la sceneggiatrice Stephanie Beatrice Genova le propose la creazione appunto di un film sulla storia del filantropo di Vercelli, lei non si rese tanto disponibile né si dimostrò troppo d’accordo: come mai? Passò qualche mese e la stessa le prospettò nuovamente il progetto… fu allora che cominciò a fare delle vere e proprie ricerche su chi fosse costui, fino al punto che le si aprì un mondo e tutto le si palesò come se fosse già predestinato ossia cosa le fece supporre che ogni cosa fosse per l’appunto predestinata e perché? “Sì, in effetti non ho accettato subito l’invito di Stephanie perché tutta la vicenda poi raccontata in LUPO BIANCO mi era difficile da credere e pensavo che fosse la solita storia di chi vuole mettersi in mostra. Al secondo contatto, vista l’insistenza nella richiesta, ho voluto indagare… sino al punto di incontrarlo, Carlo Olmo, e capire che quello in cui mi sono imbattuto faceva parte di un disegno così enigmatico che forse ogni aspetto poteva essere raccontato egregiamente ma con mille difficoltà. Ho scoperto infatti l’impossibile e due ore di film hanno solo sintetizzato l’immenso operato del suddetto uomo, il suo essere un filantropo nonché un avvocato e un maestro di Kung Fu. Grazie alla maestria della sceneggiatrice Genova, ne è derivato un thriller infallibile. I messaggi sono forti e vanno letti bene poiché la trama consta di una grande verità… e non bisogna dimenticare che è stato tra i primi film, se non in assoluto il primo uscito, sulla pandemia e sul delicato momento delle morti assurde”.  

Sta cominciando adesso la promozione per la masterclass sulla sua nuova tecnica da lei stesso definita MDT (movie-documentary-theater), trilogia che insegnerà ai ragazzi. Alla fine del corso di sei mesi, i partecipanti saranno loro medesimi i protagonisti di un lungometraggio da veicolare in Festival e scuole. Ci svela come tutto ciò sia stato un effetto sortito dal suo lavoro su di una leggenda accaduta nel lontano 1618 a Caltanissetta, ovvero il ritrovamento di un Cristo Nero che ha trasformato in un prodotto filmografico dal titolo “U CRISTU TRUVATU” e in cosa consiste più nel dettaglio la tecnica MDT? “La tecnica MDT va studiata nei minimi particolari, è un metodo che ho scoperto lavorando appunto al docufilm U CRISTU TRUVATU. Inconsciamente ho studiato le date, la storia etc. per poi scrivere la sceneggiatura… ma non avevo fatto i conti col fatto che, in questo nuovo lavoro, dovevo inserire il cinema con veri attori del grande schermo come Gaetano Aronica, Pierluigi Gangitano, Jacopo Cavallaro e Rosario Vizzini nonché il teatro con altri attori del settore e un documentario con persone vere che parlassero dei riti sacri. In più, io ho rotto la quinta parete in quanto ho fatto apparire me stesso – che sono il regista – alla fine delle riprese. Tutto, normalmente, ha delle regole e dunque non riuscivo a capire se stessi sbagliando. Il risultato finale e pure ciò che lo ha preceduto si è rivelato fantastico, la soluzione ai miei interrogativi è arrivata una sera prima del montaggio. Oggi il docufilm è entrato nella Rete Europea delle Celebrazioni della Settimana Santa insieme alle espressioni presentate da Spagna, Slovenia, Malta, Portogallo e Italia. Ha già vinto due Festival, ma codesto mio prodotto filmografico è iscritto ad altri quindici concorsi internazionali”.     

Infine ha espresso il desiderio, quello che per lei rimane il sogno per eccellenza, di collaborare con il “mostro sacro” del cinema Al Pacino. Quale aspetto e visione del regista, produttore, sceneggiatore statunitense apprezza in massimo grado? “Esatto, collaborare con Al Pacino è un sogno grande che spero di realizzare. Immagino che sarà difficile, ma la speranza aiuta a crescere. Ammiro la potenza che costui ha nel regalare allo spettatore quello che si aspetta, cioè tutto quello che un attore può dare… si assiste al massimo della recitazione semplicemente guardando il suo viso durante le varie scene, soltanto con la mimica facciale fa sempre centro. Ciò che amo di lui è l’essere un vero attore, con la -A maiuscola”.

Redazione Scomunicando.it

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