TSUNANI NELLO STRETTO DI MESSINA ? c’è il rischio, ecco l’intervento del geologo Giovanni Noto
Cronaca Regionale

TSUNANI NELLO STRETTO DI MESSINA ? c’è il rischio, ecco l’intervento del geologo Giovanni Noto

terremotosegnalato da Marzia Mancuso.

Rischio tsunami nel Canale di Sicilia, intervento di Giovanni Noto Consigliere Ordine Regionale dei Geologi di Sicilia (nella foto il terremoto di Messina).

L’attualità del disastro occorso in Giappone nei giorni scorsi, ha riproposto l’annosa questione sul rischio tsunami nel nostra Paese. Rischio che è drammaticamente connesso alla pericolosità sismica della nostra penisola. Non è un dibattito salottiero, anzi si tratta di un argomento forse sottovalutato ma che merita menzione ed approfondimenti. Il maremoto agisce con estrema rapidità, travolgendo tutto e tutti finchè l’enorme energia che lo alimenta non si affievolisce, livellando i paesaggi in un tappeto di detriti e fango.

Si è parlato del rischio nel Tirreno, con la maestosa presenza del vulcano sottomarino Marsilii; si è detto del potenziale pericolo derivante dalla scarpata Ibleo-Maltese.

Ma c’è un tratto di mare in continua evoluzione che esige uguale attenzione: lo Stretto di Sicilia. Oltre ai famosi vulcani – attivi e non – rispettivamente di Pantelleria e Lipari, il tratto di mare compreso tra le coste dell’Africa e della Sicilia meridionale ospita un vero e proprio gigante: il vulcano Empedocle. Con forma di ferro di cavallo, che misura alla base ben 25 x 30 km, è paragonabile per dimensioni all’Etna, anche se più basso, in quanto si solleva solo per circa 500 metri dal fondo del mare. Un suo centro eruttivo ha dato vita ad un’isola effimera – l’isola Ferdinandea – il cui sommo si trova attualmente a -6,5 m dal pelo dell’acqua. Le ricerche scientifiche sono da pochi anni iniziate ed ancora si deve completare la mappatura del vulcano. Finora, oltre ai pinnacoli al largo di Sciacca, sono state individuate almeno due fumarole con abbondante degassamento, indice della costante attività del complesso vulcanico.

Storicamente, il complesso del Vulcano Empedocle sembra aver già dato segni della sua presenza.

Il 21 luglio 365 una potente scossa sismica accompagnata da uno gigantesco tsunami colpì l’intero bacino del Mediterraneo, dalla Grecia all’Epiro, da Creta alla Giordania, dall’Egitto alla Libia, alla Tunisia, alla Sicilia, ai paesi dell’Adriatico. L’imponente terremoto-maremoto, ebbe epicentro a sud, tra la Sicilia e la Tunisia e generò uno tsunami che investì tutta l’isola da Lilibeo a Palermo, all’Agrigentino, alle ville di Piazza Armerina, di Patti, etc, provocando probabilmente anche la distruzione dei templi di Selinunte e di Agrigento.

Più di recente, negli anni ’50, un maremoto ha causato ingenti danni al porto di Sciacca. Inoltre i pescatori locali hanno memoria di strane maree, dette “marrobbio”, che si verificano periodicamente e che sono ampliate rispetto alla normale attività del mare, le cui caratteristiche descrizioni sembrerebbero ricondurre tale fenomeno a quello di piccole onde anomale.

Sulla scorta delle recenti scoperte e della rinnovata attenzione riservata al vulcano Empedocle, già nel maggio del 2009 Agrigento ha ospitato un importante convegno intitolato “il Vulcano Empedocle”, durante i lavori del quale, grazie al prezioso contributo dei ricercatori dell’INGV siciliano, è stato fatto il punto della situazione, evidenziando il potenziale pericolo tsunami. Scopo ultimo dell’ambiziosa manifestazione era divulgare gli aspetti scientifici per sensibilizzare l’opinione pubblica in direzione di una nuova presa di coscienza. È stata correttamente evidenziata la necessità di predisporre e definire una compiuta pianificazione per la mitigazione del rischio. E per dare corpo e concretezza alle conclusioni evidenziate si è proceduto ad una esercitazione sul rischio tsunami. Con i mezzi ed il personale della protezione Civile del Dipartimento Regionale di Agrigento, si sono svolti alcuni momenti di intervento a mare, coordinamento di allerte ed azioni di soccorso, recupero feriti, in una simulazione che ha coinvolto oltre 100 volontari, sotto l’occhio incuriosito dei convegnisti e dei passanti.

Lo scenario ipotizzava il crollo sottomarino di una porzione del cono ferdinandeo, interessante un volume di circa mc. 500.000 di materiale che attraverso una frana di “crollo”, con un movimento di ribalta, spostava una notevole massa d’acqua, in direzione della costa agrigentina, generando un’onda anomala dell’altezza originaria di m. 1,00.

Il bilancio della esercitazione è sicuramente stato positivo, anche in considerazione della complessità dello scenario e delle forze messe in campo, con alcuni meccanismi da perfezionare. Alcuni dati sono importanti da sottolineare: la qualità delle informazioni ed i tempi di intervento.

Senza precise informazioni sul “cosa” e “dove” sta accadendo l’evento (frana sottomarina, eruzione o terremoto) non è possibile attivare la catena di allarme, in considerazione che la partita si gioca nell’arco di pochi minuti.

Ed è proprio questa la carta da giocare, non solo per il tratto del Canale di Sicilia ma per l’intero Mediterraneo con la nascita di un sistema altamente affidabile per il monitoraggio in tempo reale degli tsunami. Per non disperdere preziose risorse economiche, occorrerebbe individuare le sorgenti potenzialmente attive per poi dotarle di sensori in grado di registrare ogni minimo movimento. Questi sistemi interfacciati permettono di verificare se si è generato uno tsunami, registrando il passaggio del maremoto trasmettendo i segnali a boe galleggianti che, a loro volta, trasferiscono il segnale via satellite ai centri responsabili di allertare la popolazione. Sono stati collocati alcuni sensori per monitorare l’attività sismica del vulcano ma, data la vicinanza dalle nostre coste (16 miglia nautiche da Sciacca e 30 mn da Pantelleria), ne fanno un pericolo subdolo.

Credo appartenga alla sensibilità di tutti la esigenza di uno studio e realizzazione di una rete di sorveglianza completa ed integrata oltre ad un adeguato sistema di reazione a terra. È consapevolezza comune che un’onda possa essere avvertita con sufficiente anticipo e quindi contenuta nei suoi inevitabili effetti disastrosi, grazie all’infrastruttura digitale.

Senza creare allarmismi nè inutili apprensioni, occorre stare in guardia, mettendo in campo le necessarie risorse tecniche, scientifiche ed economiche per prevenire l’eventuale risveglio del gigante Empedocle.

Dott. Geol. Giovanni Noto
Consigliere Ordine Regionale Geologi Sicilia

tratto da http://agrigentoweb.it/

24 Marzo 2011

Autore:

admin


Ti preghiamo di disattivare AdBlock o aggiungere il sito in whitelist