“TUO FIGLIO E’ UN HANDICAPPATO” –  E giù botte alla madre indignata. Questo a Gliaca di Piraino..
Cultura

“TUO FIGLIO E’ UN HANDICAPPATO” – E giù botte alla madre indignata. Questo a Gliaca di Piraino..

 

 

Un condominio, una scala, il clima natalizio dei giorni passati, i festoni alla porta, il panettone a tavola, l’albero ed il presepe.. nell’aria la “forzatura” di dover essere per forza più buoni.

Siamo a Gliaca di Piraino, ma potremmo essere ovunque, sui Nerbrodi o a Chioggia, a Mazzarino come a Quarto Oggiaro.. la mamma dei cretini, anche in Paupasia, è sempre incinta.

Dialogo tra condomini, voce fuori campo di bambino che canticchia, la porta è aperta… si discute sul alcune regole di civile convivenza, portone chiuso, del “troc – troc – troc” che le scarpe col tacco a tarda ora ripetono ossessivamente, d’ordinaria amministrazione, delle ninnenanna per far addormentare il cucciolo d’uomo che intanto si è affacciato sull’uscio.

Sotto sta una madre, ha un bimbo disabile, lo coccola e lo cura, nell’appartamente di sopra: lei sembra straniera lui forse è romano, in quella casa ci vivono d’estate,  per le vacanze … e fanno parte di questa storia.

Vignetta1Un quotidiano – che non è un giornale –  ma che, anche nei giorni di festa, è sempre uguale a se stesso per la madre; un’aria di vacanza ciarliera e spensierata per gli altri, anche questo marca la differenza.

Si alzano i toni della discussione e si diventa simmetrici, fino all’insulto finale, umiliante “Stai zitta che tuo figlio è handicappato”.

Una frase ripetuta … ancora, ancora, ancora.

Quindi, mentre sale la rabbia, graffi, spinte e manrovesci.

Due contro uno, arriva l’ambulanza, e scatta la denuncia.

Se la vedrà il giudice, verbali zeppi di dettagli davanti ai carabinieri, la prognosi della guardia medica per tutti, chi ha urlato il suo insulto con disprezzo lamenta una pedata all’anca, ma i graffi sul volto della madre bruciano meno delle ferite, oggi già cheloidi indelebili, sulla sua anima – da donna colpita – per quell’insulto gratuito.

Un’aggressione verbale che umilia, che oltraggia, che tocca il cuore di chi vive con amore un presente che guarda al futuro di un bimbo un pò meno fortunato di altri, che avrà una vita in salita perchè lo Stato, più in questo Sud d’Italia che in altri luoghi, è assente per strutture, per servizi, per viabilità, per impengo.

Il bimbo guarda la madre, sente le urla, non comprende perché quella zuffa, piange; da 4 anni convive con la Sindrome di Down, e guarda il mondo con aria semplice, felice per le stelle che brillano sull’albero e per i regali arrivati,  a lui ora basta l’amore di sua madre che afferma, a mente serena, dopo qualche giorno dai fatti: “è una vicenda amara, che va ben oltre quanto è accaduto, mi piacerebbe che da quest’episodio venisse fuori un attimo di riflessione, e servisse a sensibilizzare la gente verso le persone disabili ed il loro mondo”.

Certo. Un appello da accogliere.

Senza entrare nel merito di chi abbia o meno iniziato la zuffa, di scoprire le  colpe per un portone non chiuso, una porta sbattuta, un tv ad alto volume, ma solo per rispetto di quel bimbo … è importante avere la certezza,  bisogna avere la consapevolezza, il riconoscimento e rispetto della Disabilità a partire proprio dall’uso della parola.

msm

Handicappato a chi? Disabilità: le parole corrette

Basta! Proviamo a non usarla più?

Diversamente abile, invalido, disabile: basta! Le parole sono importanti. Di più, le parole mostrano la cultura, il grado di civiltà, il modo di pensare, il livello di attenzione verso i più deboli.

Non è una esagerazione. Cambiamo il linguaggio e cambieremo il mondo.

Ci sono parole da usare e non usare. E quelle da non usare non vanno usate.

Hai voglia a dire: chiamami come vuoi, l’importante è che mi rispetti.

No! Se mi chiami in maniera sbagliata mi manchi di rispetto.

Se parliamo di disabilità, proviamo a usare termini corretti, rispettosi?

Parole da usare e non usare. Concetti da esprimere o da reprimere.

Semplicemente: persona con disabilità.

L’attenzione sta lì, sulla persona.

esterne252005212512200948_bigLa sua condizione, se proprio serve esprimerla, viene dopo.

La persona (il bambino, la ragazza, l’atleta ecc.) al primo posto.

Questa è una delle indicazioni fondamentali che giungono dalla “Convenzione Internazionale sui diritti delle persone con disabilità” (New York, 25 agosto 2006, ratificata, e quindi legge, dallo Stato Italiano).

Non: diversamente abile, disabile, handicappato (ma lo usa ancora qualcuno?), portatore di handicap (come se avesse quel fardello, l’handicap, da portarsi appresso: grazie a DM, la rivista della Uildm, per la straordinaria vignetta di Staino, che fra l’altro ha una disabilità, essendo cieco), invalido.

Già, invalido: quante volte, troppe, sentiamo questa parola ultimamente.

Letteralmente una persona che non è valida.

Il 10 per cento della popolazione mondiale (stima per difetto) ha una disabilità, quindi non è valido.

“Diversamente abile” o “diversabile” (suggerito da Claudio Imprudente, animatore storico del Centro Documentazione handicap di Bologna, le cui riflessioni sono sempre interessanti) hanno avuto forse una valenza anni fa, ora non più.

“L’errore è di principio: nella dizione ‘diversamente abili’, infatti, viene proposto come prioritario il concetto di ‘diversità’… La disabilità non è una diversità, ma una condizione di vita.

Ogni individuo è diverso dall’altro senza che per questo venga meno il valore, implicita una inferiorità”, scrive Silvia Galimberti, giornalista, in una bella tesi di laurea dedicata al linguaggio sulla disabilità, partendo dallo sport paralimpico.

Se si parla di sport, atleti paralimpici è consigliabile, anche riferito a quegli sport che non sono presenti alla Paralimpiade. Negli Stati Uniti, il National Center on Disability and Journalism, ha un’ottima “style guide”, molto valida non solo per l’inglese, come la BBC, con sezioni sulle categorie deboli e la disabilità.

Disabile (e tutti i termini che indicano il tipo di disabilità: paraplegico, tetraplegico, cieco, amputato, non vedente) non va usato come sostantivo: si confonde una parte con il tutto e così si riduce, offende, umilia una persona. Utilizzabile, invece, “disabili” al plurale: si indica un gruppo, come gli scolari o i politici.

esterne252005262512201029_bigAimee Mullins, una delle più grandi sprinter paralimpiche, amputata alle gambe come Pistorius, un giorno scrisse un articolo per l’edizione italiana di Wired, dove era in copertina, e trasferì la riflessione in un bellissimo discorso. Prima di scrivere aprì il dizionario dei sinonimi alla parola disabile: andate a vedere al link o ascoltate il discorso (è stupendo e ha i sottotitoli in italiano) per vedere cosa ci ha trovato. “Sembrava che io non avessi nulla di positivo”.
Alcuni termini sembrano obsoleti e invece sono ancora molto usati: per indicare una persona con paralisi cerebrale o cerebrolesa si dice spastico, che fra l’altro è diventato termine offensivo; come ritardato per dire di qualcuno che ha una disabilità intellettiva e relazionale (lo so, sono termini composti e lunghi, ma per ora sono i migliori).

Negli Stati Uniti è stata lanciata una campagna mondiale per abolirla: r-word, ne abbiamo fatto un post anche su InVisibili.

C’è chi scambia malattia e disabilità, come se i termini fossero interscambiabili: la disabilità è una condizione che può essere causata da malattia, ma non è una malattia. Attenzione a credere siano discorsi banali: per un bambino la malattia si attacca, se sto vicino a una persona cieca prendo la cecità.

Usare “afflitto da”, “sofferente per” parlando di una persona con disabilità la pone come una “vittima”, triste e da aiutare: può esserlo, come per tutti, ma non è implicito che lo sia.

Il dibattito sul linguaggio è vivo e appassionante.

Quello che diciamo ora fra qualche anno sarà cambiato. Il mondo paralimpico è stato importante. Prima che la rete facesse circolare idee, il maggior numero di persone con disabilità presenti nello stesso momento nello stesso luogo era ai Giochi Paralimpici.

Nel tempo il linguaggio intorno alla disabilità è cambiato. In meglio.

Anche grazie allo sport.

Alla Paralimpiadi sono consegnati ai giornalisti veri e proprio lossari, con indicazioni da seguire e anche norme di comportamento.

Dire a una persona cieca “ci vediamo dopo? Hai visto?” o a una in carrozzina “fai una corsa qui” è assolutamente corretto, anzi si è invitati a farlo: non modificare il discorso se si parla con o è presente una persona con disabilità, sarebbe discriminatorio.

Meglio il singolare, dicono gli inglesi: “a disability” e non “disabilities”.

Un segno evidente di disabilità è la carrozzina (non “carrozzella”, che è trainata dai cavalli).

esterne252005272512201031_bigLa carrozzina è un mezzo di mobilità, liberazione, indipendenza: aiuta, non limita.

Per questo è da evitare “confinato, relegato in carrozzina”.

Meglio, “usa una carrozzina”.

Si potrebbe continuare, ma sono stato già troppo lungo.

Il concetto fondamentale è quello dell’inizio: il focus è sulla persona.

Essere “politicamente corretti” nel linguaggio aiuta ad avere rispetto. Non bisogna vergognarsene.

 

da un testo di Claudio Arrigoni

9 Gennaio 2013

Autore:

admin


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