Una macelleria da lungo bancone frigo, il regno della Signora Sarina, regina di pulizia, sapiente manipolatrice di “camuliati” buoni per le bistecche svizzere, si chiamavano così gli attuali hamburger, per la salsiccia, insaccata nei budelli naturali lasciati per giorni a sbiancare e i salami tagliati al coltello, per non parlar poi delle stigghiole. Mai con l’odor di burridu. Essere macellai, “non era solo un saper tagliare la carne” – diceva don Turi – “quello è mestiere si può anche imparare, ma bisogna conoscere gli animali come gli uomini, e questa è un’altra storia”.
Salvatore conosceva i bovari di mezza Sicilia, e andava con il camion di un altro Cipriano – Pippo – nelle valli di Cesarò, a Troina o a Caronia per acquistare i vitelli, che aveva visto crescere, o a trovare i maiali più buoni, e per Pasqua conigli e capretti.
Allora non c’erano i frigomacelli con i loro quarti di bue comprati all’ingrosso.
Tutto era una filiera perfetta fatta di orari, di riti, di tempo passato nelle stalle, quelle lungo la via Ferrara, a far pastoni e a dar fave e fieno.
Bisognava “dubbare i ‘nimali “, la mattina all’alba e la sera, d’estate e d’inverno, anche quando le scosse di terremoto scuotevano il paese.
Don Turi lo faceva con Antonio, suo figlio, poco più di un bambino.
E lo faceva con rispetto verso le bestie che portava poi al macello, dove ora c’è l’ufficio turistico, e che affidava a don Nunzio Lavena, per l’ultimo pasto, in una sorta di rituale ancestrale tra animalemacellato e uomomacellaio.
Lo faceva in un paese, Brolo, aspettava il martedì o il giovedì, giornate di macello, per aver la carne buona, ancora non frollata, per aver il secchio pieno di sangue o per le zampe del maiale da ripulire sulla brace, per la trippa o il corno del vitello, da utilizzare per portafortuna, per un pezzo di filetto da dare al bambino ammalato, o il fegato agli amenici o le giovani appena mestruate.
Don Turi era lì. Seguiva tutti e tutto. Attento.
Rappresentava, come dicevamo, forse la quarta generazione di una famiglia di macellai.
Tradizione tramandata direttamente da suo padre, Antonio, uomo rigido, burbero, d’altri tempi che si era sposato con donna Carmela Scaffidi Mancosale.
Salvatore era il più grande tra i dieci figli (Salvatore, Antonino, Pippo, Paolino, Mariano, Melo, Santo e poi Anna, Calogero e Teresa).
Un ruolo di responsabilità che avvertiva tutto, che se ne faceva carico e che lo fece crescere in fretta, forse troppo, che lo metteva in una posizione anche di chiedere, ma che lui non fece mai.
Un ruolo che lui svolse anche dopo sposato, con le cognate, le sorelle di Sarina che ritrovarono in lui quella figura paterna, accogliente, amicale, che la precoce morte del loro padre li aveva privati.
Quando tagliava la carne,”supra u cippu”, prima di batterla diceva sempre che “Ci vuole gentilezza, ci vuole rispetto”. E per rispettare l’animale non c’era – diceva – niente di meglio che andare contro lo spreco.
Bisogna aver rispetto di ogni osso, di ogni tendine. “Non bisogna sprecare nulla”, E anche le parti che spesso non venivano considerati, sotto i suoi coltelli, diventavo ottimi tagli e delizia della cucina.
E’ stato il macellaio di fiducia di molti.
Sapeva dar consigli per recuperare il bollito, di muscolo ripassato in padella con cipolla e pomodoro, oppure il brodo di manzo, considerato da molti come una vera medicina.
Lui diceva bastano ossa, acqua fredda, qualche pezzetto di carne. Sedano, carote e cipolle. Si fa riposare e sgrassare e si ottiene una proteina naturale.
E donna Sarina sorrideva. Era lei che suggeriva tutto.
La macelleria di Totò era un tutt’uno con la casa.
Dietro una porticina si apriva la stanza da pranzo, ma buona per far i compiti, e poi la camera da letto dover era nata Rosalinda, partorita in casa, l’ultima dei tre figli, – con Antonio e Melina – venuta dopo tanto tempo.
Un segno d’amore, come i 62 anni di matrimonio, vissuti insieme, fatti di intese, sacrifici, risate e tante discussioni, ma anche di paure come quella quando la moglie si ustionò paurosamente con un catino d’acqua bollette che le cadde addosso, rischiando di morire.
Una paura che divenne “voto” alla Madonna del Tindari con il “viaggio” a piedi fatto anno dopo anno.
La casa si apriva sul retro su una allora piccolissima piazza Annunziatella, tra una forgia e un dirupato campanile, con la saja che delimitava lo slargo dai giardini. Qui don Turi aveva un fienile, ci teneva anche quattro conigli, e si soffermava, sulle balle di fieno, a leggere l’immancabile gazzetta della sport.
Era un tifoso della Juve, amava il calcio, e gli piaceva Altafini e pianse per Bettega che stava male.
Erano i tempi del Circolo Artigiani, delle serata danzanti di carnevale, delle giocate a baccarà a Natale, e sino all’ultimo rimase tra quelli che preparavano il sugo dei maccheroni per la “festa” da condividere con tutti sotto l’albero di piazza Roma.
Anche se lui preferiva – a Natale – le grandi tombolate tra figli e nipoti a casa, quando poi alzandosi buttava sul tavolo, una manciata di forchette, il segnale che era il il tempo di scendere gli spaghetti, mentre i più grandi bevevano un intramontabile Punt e Mes.
D’estate, chiusa la macelleria, negli anni settanta, si rimaneva, sino a tardi a chiacchierare con la sedie in mezzo alla strada, tanto non passava nessuno, con la famiglia di Rita l’Americana, i Condipodero, gli Scaffidi,
Il tempo correva.
Erano gli anni in cui Salvatore Cipriano si accostò alla politica, consigliere comunale, assessore, e sempre fu l’uomo che portava pace, che rasserenava gli animi, anche in interminabile passeggiate notturne in auto con “il Giaguaro” & company.
Ci piace ricordarlo così, in questa carrellata di foto, sorridente; amico; padre; fratello; grande e onesto lavoratore, instancabile; in gita con in “anziani”; a portar all’altare le sorelle; a sorridere a sua moglie; ai matrimoni degli amici; con il suo cuore grande.
Ma non possiamo non ricordarlo impietrito guardare scorrere il funerale di Antonio – lui uscì di casa, nel 2006, il giorno che sua madre faceva compleanno e non tornò più vivo dalla madre che – in un gioco tragico del destino – a sua volta uscì di casa il giorno che avrebbe fatto il compleanno il figlio Antonio e mai ci fece più ritorno – e poi seguire, ma molto più recentemente, quella di “Donna Sarina”.
Ora sono nuovamente insieme.
Ciao Totò.
E chiudiamo con un ricordo della Nipote, Sara, la figlia di Antonio.
“Abbiamo perso mio padre troppo prematuramente, quando tutto sembrava andare per il verso giusto ci è crollato il mondo addosso, una realtà che ancora oggi non accettiamo..
Non si può essere privati di una persona così importante, qual’era lui..
In casa si respirava aria di serenità, aveva un carisma superiore alla media,uomo di un certo spessore e pieno di bontà d ‘animo… lo si legge ancora oggi attraverso la gente quando ne parla,o quando lo si ricorda per quel modo di scherzare che lo distingueva dalla massa.
Amava la VITA, così come gliela avevano disegnata,la famiglia era sopra tutto e tutti,gli amici un bene inestimabile.
Conosceva il segreto di farsi amare da tutti.
Il vuoto che ha lasciato è tangibile ancora oggi.
Il KAPITANO, ricordato per questa società Tiger Brolo che anche fino all’ultimo respiro ha voluto calpestare quel rettangolo verde.
Quel giorno, quel famoso giorno uscì di casa per andare dai suoi giocatori, mettere la formazione in campo e mandarli a lottare, a vincere.
Quella era la sua ultima partita, quella è stata la sua ultima fatica, da quell’istante tutto è finito, corse in ospedale per poi lasciarci ad aspettarlo.
Ma lui era già andato via… via da questo mondo ,via da tutti noi.
Non dimenticherò mai le lacrime di mia nonna, le parole toccanti rivolte a suo figlio, e la disperazione di quel padre che appoggiava lentamente quella maglia numero 8 sul suo feretro “giocati anche questa” gli sussurò.
Genitori che hanno lottato per tutti questi anni il dolore più lancinante che esista a questo mondo.
Adesso li immagino lì, chissà in quale posto ma insieme.
E forse questa è l unica cosa che penso, per sentirmi serena.
Con mio NONNO se ne vanno via tutte le nostre certezze, i nostri punti di riferimento, quella casa ormai è chiusa ai ricordi di un infanzia, di una vita di lavoro dietro quei banchi della macelleria, quei profumi delle polpette della SIGNORA SARINA, quella porta aperta sempre a tutti, sopratutto ai meno fortunati, quella Donna che a parole non saprei spiegare,era talmente immensa che non bastano parole di elogio per darle giustizia.
Adesso vivremo tutti con la consapevolezza che siamo stati fortunati ad averli nella nostra vita,hanno lasciato tutti e tre dei valori sui quali facciamo insegnamento ogni giorno.
Ma più di tutto hanno lasciato un senso di famiglia che va oltre qualsiasi dipartita.
Un Bacio speriamo che arrivi fino a voi.”
fotogallery
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