Quindi la “festa” il 2 ottobre, a San Costantino a Piraino, ne svelerà i segreti.
La sua tolleranza all’arsura e alle torride temperature rendono questo prodotto uno dei 50 alimenti del futuro che, secondo il WWF e la Knorr, aiuteranno a un’alimentazione più sostenibile per il mondo.
Non solo Gelati e marmellate
C’è chi ha pensato ai derivati, tipo gelati, formaggi, marmellate, fino ai fritti ed alle insalate. Molti usano le “pale” essiccate in svariate pietanze.
NON SOLO FRUTTI
Se parliamo di alimentazione, per noi italiani il fico d’India è sinonimo dei suoi frutti. Ma nella sua zona di origine, il Messico, viene consumato anche come verdura. Ed è considerato un’autentica primizia: sono i cosiddetti nopalitos, le foglie giovani che vengono mangiate sia fresche che conservate. Ci si preparano insalate, zuppe e frittate, e sono dotate di proprietà nutritive ottimali, simili – spiega l’esperto – a quelle della nostra fagiolina.
Il fico d’India nella medicina popolare siciliana
In merito alle sue proprietà curative, la tradizione vede il fico d’India (soprattutto le sue pale, più correttamente chiamate “cladodi”) come una pianta quasi miracolosa. I nostri nonni sfruttavano le pale come decongestionanti e antinfiammatori, addirittura curavano le ossa rotte. La medicina popolare siciliana non tardò a comprendere i benefici curativi di questa nuova pianta: i cladodi crudi, interi, al forno o in poltiglia, erano regolarmente usati per curare contusioni, ecchimosi, infiammazioni e persino per la febbre da malaria.
Tra gli studi di Pitrè, in Medicina Popolare Siciliana, si evidenzia un proverbio ancora oggi conosciuto in diverse parti dell’Isola: Quannu unu s’allavanca di ‘nna nucia. Sucu di pala vecchia, e babbaluci; E si sècuta e ‘un ni resta cuntentu: Cci metti ogliu e cira e erva di ventu (Quando uno precipita giù da un noce; (si deve adoperare) succo di pala vecchia di ficodindia; e se non migliora e non ne resta soddisfatto: adoperi olio con cera ed artemisia).
La scozzolatura e i suoi “bastardoni”
Seguendo un’antica tradizione, tra maggio e giugno in Sicilia e nelle altre regioni meridionali, si procede alla cosiddetta “scozzolatura”: per sollecitare la pianta alla seconda fioritura autunnale, vengono rimosse manualmente – con dei piccoli colpetti – i frutti appena nati, e le relative nuove pale. I fichi d’India che cresceranno qualche mese dopo avranno meno fiori, ma dei frutti tardivi dalle pregiate (e ricercate) caratteristiche organolettiche, e prenderanno il nome di “scuzzulati” o “bastarduna”.
Secondo una leggenda, il fico d’India scozzolato nasce da una lite tra due contadini confinanti: volendo danneggiare il vicino di terra, il primo dei due (il “bastarduni”) tagliò i fiori sulle piante del rivale, convinto di aver rovinato la sua raccolta per tutta la stagione. Con le prime piogge, però, cominciarono a crescere dei frutti ancora più grossi e succosi, e la fruttificazione fu solo ritardata e portò un maggiore guadagno alla concorrenza.
Il fico d’India oggi e le prospettive per il futuro
I fichi d’India oggi sono tra i più ghiotti e apprezzati frutti dell’Isola, oltre ad essere un importante alleato nell’economia territoriale. L’agricoltura siciliana negli ultimi decenni lo ha rinominato “petrolio verde”: con le nuove tecnologie sono stati scoperti tantissimi nuovi utilizzi di questa pianta nell’economia circolare (come la possibilità di creare una plastica biodegradabile dalle cladodi, da cui già si estrae la mucillagine per realizzare una particolare pellicola).
Oggi il fico d’India è un simbolo distintivo del paesaggio siciliano. Il “Ficodindia dell’Etna” è DOP dal 2003. Nel 2012 anche la città di San Cono (CT) ottenne il riconoscimento DOP come prima produttrice di fichi d’India d’Europa, rendendo la Sicilia seconda, a livello internazionale, solo al Messico e all’America.
UNA ‘SPUGNA’ ANTI-INQUINAMENTO
Altra capacità sorprendente è infine quella di assorbire altissime quantità di CO2. L’Opuntia ficus-indica è infatti in grado di fissare (e quindi eliminare dall’atmosfera) circa cinque tonnellate di anidride carbonica per ettaro di coltivazione, uno dei valori più alti tra le specie vegetali conosciute. E non solo, perché il fico d’India fa anche di più: tollera un ambiente con alte concentrazioni di anidride carbonica, e anzi vi prospera.