UOMINI – Leucio Miele la sua visione metafisica e metapolitica meriterebbe maggiore conoscenza
MORIVA 50 ANNI FA.UNA VITA DI LOTTA E COERENZA
Nel suo nome, che richiama il significato di “puro” e “bianco”, si ritrova l’essenza di un impegno che andava oltre le etichette politiche del tempo. Leucio Miele, scomparso prematuramente nel 1975 a soli 35 anni, si distinse per una coerenza incrollabile, una militanza che non si lasciava imprigionare nei confini dell’estrema destra dell’epoca (ben diversa da quella di oggi), ma che sapeva dialogare con le lotte del ’68 e dei suoi dintorni. Combatteva contro le ingiustizie, il consociativismo, le discriminazioni, cercando sempre di unire e non di dividere. Il suo percorso politico e ideologico trovò un’espressione significativa nell’Organizzazione di Lotta di Popolo (OLP). Leucio Miele stava dalla parte di chi aveva voglia, voce e forza per lottare. E soprattutto, stava con chi quella voce non l’aveva, raddoppiando gli sforzi per chi era stato privato di ciò che gli spettava. Come ricorda Vincenzo Maida, animatore del Centro Jonico Drus, il suo impegno era volto a risvegliare la consapevolezza e il senso di riscatto in chi ne aveva più bisogno.
Le battaglie di Miele trovarono spazio anche in Basilicata, terra che fu teatro di numerose proteste contro le decisioni governative. Fu tra coloro che si opposero con determinazione all’esclusione della regione e, in particolare, della provincia di Matera dai finanziamenti del CIPE, si schierò in difesa degli agricoltori colpiti dalle calamità naturali e si batté contro le conseguenze della separazione amministrativa tra Scanzano e Montalbano. La sua non era una visione astratta, ma un’idea concreta e profonda di popolo e di Nazione, supportata da una solida preparazione culturale e politica. Un impegno che in quegli anni, segnati da scontri ideologici dentro e fuori il Parlamento, esigeva studio, consapevolezza e capacità di confronto.
Dopo una prima esperienza nel Movimento Sociale Italiano (MSI), Leucio Miele se ne distaccò, rifiutando scelte e logiche che non condivideva. La sua era una politica di azione, di partecipazione attiva, e non di mero schieramento. La sua vita fu breve, ma intensa, segnata da un impegno sociale e politico di spessore.
Ancora oggi, il suo nome e il suo percorso restano materia di approfondimento e riflessione, letti e analizzati attraverso contributi di diverse tendenze e appartenenze. Un segno che la sua figura, al di là delle categorie ideologiche, continua a suscitare interesse e dibattito. Nei giorni che ricordano e datatno la sua morte i social lo rammentano e lo ricordano. Qui di seguito alcuni articoli che tracciano la sua azione.
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di Vincenzo Maida
Ѐ passato mezzo secolo dalla morte di Leucio Miele a soli 35 anni (5 marz0 1975), oggi che a Montalbano Jonico la Destra si é praticamente dissolta a causa della miopia, dell’egoismo, dell’ambizione ingiustificata e dell’ ottusità di alcuni, esattamente l’opposto di quello che predicava Leucio, ecco il ricordo di un personaggio straordinario. La sua azione politica si esplicò a livello nazionale.
Leucio rispetto ai politici locali attuali, per cultura, capacità, carisma, appare come un gigante.
Leucio Miele nacque a Montalbano Jonico e morì a Nova Siri in campagna, nell’ azienda di famiglia.
Visse l’infanzia e la giovinezza tra le stradine del centro storico montalbanese. Abitava in via Abate Troyli, di fronte al locale che per molti anni ha ospitato il Ristorante “Il Gallo d’oro”.
Era stato il capo a livello nazionale dell’Organizzazione Lotta di Popolo che si era caratterizzata per le lotte studentesche soprattutto a Roma, Napoli, Milano, ma anche in Basilicata.
Un personaggio che ha lasciato un ricordo indelebile in chi lo ha conosciuto. Solo chi ha avuto con lui un contatto diretto, può capire il carisma e la forza che sprigionava.
Rinunciò ad una vita di agi, la sua era una famiglia benestante, e ad una possibile carriera politica in coerenza con la sua visione del mondo.
A livello locale lottò contro l’autonomia del comune di Scanzano Jonico prevedendo i danni che ne sarebbero derivati alla comunità scanzanese ed a quella montalbanese.
Organizzò assemblee, manifestazioni e comizi con i contadini colpiti dalle calamità atmosferiche del 1974 e formulò una proposta di legge regionale.
Tutta la vicenda che lo vide protagonista l’abbiamo resa nota in un libro: “L’autonomia di Scanzano è inaccettabile”.
Difese dall’ipotesi di privatizzazione il bosco comunale di Andriace.
Fondo l’Unione Sportiva “Folgore” che tolse dalla strada tantissimi giovani.
Elaborò un progetto di rinascita del comune di Montalbano Jonico.
Si batté contro la logica degli opposti estremismi e le false contrapposizioni ideologiche e previde la crisi della partitocrazia e il suo distacco dai reali interessi del popolo e non cedette mai alle sue allettanti lusinghe.
Leucio Miele possedeva un carisma avvertito dai suoi concittadini di ogni ceto sociale e al di là delle appartenenze politiche.
Imponente fu la partecipazione popolare ai suoi funerali.
Ha scritto qualche anno addietro una sua nipote: “Da bambino tornava spesso a casa scalzo. Le sue scarpe – racconta la sorella – le regalava agli amici più poveri e meno fortunati”.
Le uniche cose che ha lasciato sono gli scritti relativi ad alcuni suoi comizi fiume in piazza o alle assemblee con decine e decine di persone; non è stato un giornalista eppure era attento a tutta la cronaca corrente, era un arguto commentatore di fatti locali e nazionali, trasferiva oralmente tante informazioni, un divoratore di libri di carattere politico, esoterico, saggistico. Politico carismatico e trascinatore di folle, non ha mai ricoperto nessun ruolo istituzionale, neanche quello di semplice consigliere comunale, dopo una breve esperienza nel MSI se ne allontanò definitivamente. Lontano culturalmente dal cattolicesimo, pur avendone rispetto, molto vicino a forme di religiosità pre-cristiana, la sua esistenza è permeata di atti di generosità ed i capannelli di gente di ogni ceto sociale, che ovunque si fermasse si formavano intorno a lui che “predicava” per ore, erano la testimonianza di un fascino indiscutibile. Egli era attento agli umili e capace di riconoscere la dignità di tutte le persone.
Cultore dei valori Tradizionali in un mondo che li aveva capovolti totalmente, riteneva la sua bibbia “Cavalcare la tigre” di Julius Evola. Un libro difficile, diceva, che se non si possiede una solida base centrata nell’Essere e nella Trascendenza, può portare all’anarchia e ad un’ individualismo senza senso, fino ad un artificioso e alienante distacco dalla realtà.
ECCO TRE ARTICOLI SU LEUCIO, DUE TRATTI DAL PERIODICO ONLINE “IL BARBADILLO.IT”, UNO DEL SUO AMICO E COMPAGNO DI LOTTA GIUSEPPE SPEZZAFERRO E L’ALTRO DELLA NIPOTE AMANDA INCARDONA, ED UNO PRESO DA FACEBOOK A CURA DELLA FIAMMA DEL VULTURE
Leucio Miele
Avrebbe avuto ottant’anni, se fosse stato ancora vivo. Purtroppo, Leucio Miele morì il 4 marzo del 1975. Alla fine dovette arrendersi al cancro, lui che non si arrendeva mai.
A Roma, alla fine dell’occupazione di Legge e dopo la fondazione di Lotta di Popolo, Riccardo Paternostro, per gli amici Fofò, conosciuto in quei mesi, mi chiese di accompagnarlo a casa per sostenerlo davanti ai parenti ai quali avrebbe dovuto spiegare come mai non avesse dato nemmeno un esame. I suoi lo mantenevano senza badare a spese, ma in cambio si aspettavano risultati. Arrivammo al suo paese, Rotondella a una novantina di chilometri da Matera, dopo un viaggio di saliscendi su per montagne e colline (all’epoca il percorso attraversava decine di paesi). Fui accolto bene e non mi fu difficile spiegare che la “rivoluzione” aveva impedito al volenteroso Riccardo di dare gli esami. Nessuno, nemmeno io, dissi accorato, aveva avuto accesso all’università occupata.
I primi due giorni furono una pacchia: roba squisita e ben cucinata, vino fatto con l’uva, frutta dai sapori perduti. Al terzo giorno, mi preparai a ripartire. «Qui – dissi più o meno – non c’è nessuno con cui valga la pena parlare, me ne vado». Fofò mi rispose che c’era una grande persona, invece, ma forse non avrebbe accettato di parlare con me.
Così incontrai Leucio la prima volta. Stava sulla spiaggia di Nova Siri, un paese a una dozzina di chilometri da Rotondella, seduto sotto l’ombrellone calzato e vestito, immerso nella lettura. Fofò lo salutò deferente, lui alzò la testa, fece un cenno e riprese la lettura. Fortunatamente stava leggendo “L’arco e la clava”, un libro di Julius Evola e io ne approfittai: «Guarda la combinazione, proprio la settimana scorsa Evola mi ha detto di voler preparare una nuova edizione».
Leucio mi scrutò, sorrise e mi invitò a sedere. Fofò, tutto soddisfatto, mi presentò (un tantinello esagerando) e restò in piedi; non c’era ombra sufficiente per tutti e tre per cui ci annunciò che sarebbe andato al bar «a prendere una cosa fresca» e che sarebbe ritornato dopo un po’. Leucio gli disse di non preoccuparsi per me, mi avrebbe portato a casa sua e lui era libero di tornarsene a Rotondella.
Lo so: è stato un lungo preambolo, ma raccontare come ho conosciuto Leucio è importante soprattutto per dimostrare che all’epoca quasi tutto quello che facevamo ci capitava per caso o, se volete, per Destino. Io non avevo programmato di andare in Lucania e Leucio non pensava minimamente di rimettersi a fare politica.
Aveva un eloquio affascinante e proiettava una forza straordinaria. Era piccolo di statura e magro, ma quando s’infervorava (e infervorava l’uditorio) diventava un gigante. Dopo qualche giorno, tornai a Roma e dissi ad Enzo Maria Dantini: «Ho trovato il Capo, lo devi conoscere e mi dirai se non ho ragione». Ovviamente, avevo ragione e cominciammo ad organizzare incontri e dibattiti per mezza Italia con Leucio protagonista. Furono settimane incredibili. Una volta, durante un’assemblea, andò via la luce, ma Leucio continuò a parlare e la sua voce nel buio crebbe in magia. Prima o poi, proverò a scrivere qualcosa di serio a proposito di Leucio Miele.
Non andai ai suoi funerali, né ho mai partecipato a cerimonie di commemorazione o dibattiti sulla sua figura. La sua morte segnò per me una fine assoluta e ci son voluti anni per metabolizzarla. Al momento credo che il modo migliore di parlare di lui a quarantaquattro anni dalla scomparsa sia di lasciare a lui la parola.
In una lettera mi spiegava che, per motivi di famiglia, aveva dovuto interessarsi di più della sua azienda e scongiurava la tentazione di trasformarsi in un padrone-sfruttatore.
Scriveva: «Mi è letteralmente rovinata addosso Ia conduzione di una grossa azienda. La cosa non è semplice se pensi, tanto per esempio, che, fra le altre difficoltà presentatesi alla mia inesperienza, c’è anche quella di dover organizzare il lavoro giornaliero di trenta operai. Un lavoro tanto complesso ha letteralmente occupato tutti i miei spazi di libertà.
Non ho potuto far altro se non il “Massaro” e per giunta ad orario pieno e a ritmo massacrante. La cosa naturalmente non mi sconvolge. Accetto il tutto di buon animo in ossequio non tanto alla persona di mio padre Ia cui condizione umana e individuale mi interessa mediocremente, quanto al principio virile e paterno (nel senso della Sociologia tradizionale) che egli incarna.
Così ho creduto di poter accettare perfino Ia transitoria condizione di lavoratore. Posso comunque assicurarti che sono sempre vigile e controllo me stesso di modo che le condizionalità di ordine pratico legantesi alla mia nuova dimensione esistenziale non abbiano a prevalere. Questo perché nella situazione in cui mi trovo, c’e il rischio che un sottile processo d’introizione mi porti, sul piano fattuale, all’assunzione di taluni valori borghesi propri al mondo sfaldato del tellurismo contemporaneo.
E’ infatti possibile che in contesto esistenziale definito da spinte produttivistiche, finiscano per prevalere istanze mercantili necessitate dal profitto e dallo sfruttamento (…) Ma come ti dicevo sono vigile e non mi farò fottere. (…) Produzione, lavoro e roba del genere non portano luce agli Dei sui quali Ia Tradizione modella i suoi uomini».
In un’altra lettera (scritta a mano: era la prima stesura, poi l’avrebbe dattiloscritta) che mi diede di persona la mattina che gli piombai a casa senza preavviso, stava tracciando le linee per un adeguamento di Lotta di Popolo alla nuova realtà politica. «Stavo scrivendo a te – disse – e il resto te lo dico a voce…». Istintivamente presi il foglio di carta e me lo misi in tasca. E ancora non mi perdono di non avere nemmeno una foto di noi due insieme.
Giuseppe Spezzaferro
Anniversari. Leucio Miele combattente rivoluzionario e poeta del popolo
Da bambino tornava spesso a casa scalzo. “Le sue scarpe – racconta la sorella – le regalava agli amici più poveri e meno fortunati”. Ha vissuto tutta la vita così, con la bussola del cuore, Leucio Miele. Militante rivoluzionario, è scomparso a soli 36 anni, il 4 Marzo 1975.
Era stato fondatore nel 1968 insieme ad Enzo Maria Dantini, Ugo Gaudenzi e Serafino Di Luia del movimento politico “Organizzazione Lotta di Popolo”. Qualche giorno fa i suoi amici fraterni e i sodali di milizia, allora giovani seguaci delle posizioni nettamente eterodosse dell’ Olp, lo hanno ricordato con una manifestazione in Basilicata, a Montalbano Jonico, suo paese natio.
Il ricordo di Leucio Miele resta impresso nel cuore di ogni persona che l’abbia frequentato, legato alla sua personalità carismatica, al suo carattere generoso, alla sua intelligenza politica lungimirante.
La sorella Maria Teresa nell’incontro lo ha richiamato alla memoria attraverso un aneddoto che lo mostra, bambino, già disposto al sacrificio disinteressato per gli altri. Durante un’estate, uscito in strada a giocare con gli amici, tornò più volte scalzo a casa. La mamma scoprì più tardi che regalava le scarpe agli amici più poveri che non avevano la possibilità di acquistare calzature. Giovanni Amendola, Vincenzo Maida, Rocco Tauro, Teresa Marino, Peppino Incardona (intimo amico e poi cognato di Leucio Miele), lo ricordano come un San Francesco laico, galantuomo per eccellenza, politico capace di analisi acute. Determinato fu il suo rifiuto di rientrare nei ranghi del MSI, nonostante questo passaggio gli fosse stato richiesto espressamente anche con una lettera da Arturo Michelini, allora segretario del partito. Aveva un altro orizzonte: affermare una politica che superasse gli schemi destra-fascismo/sinistra-comunismo. Leucio Miele fu centro animatore di Lotta di Popolo, scrivendo di “oppressione economica del dollaro”, di “popoli meridionali in lotta”, osservando che “il comunismo ha successo nella misura in cui è stato trasformato in resistenza nazionale all’occupante”. Durante il momento più delicato della politica italiana, nel quale ogni pedina sembra essere al posto giusto per interpretare una parte, OLP accoglie le istanze antiborghesi degli elementi sia di destra che di sinistra che confluiscono numerosi nel movimento. Nel 1972 “Paese Sera”, in un arco di dieci giorni, definì i militanti di Lotta di Popolo in modi quantomeno discordi: “Nazisti, antifascisti, né di destra né di sinistra”. Qualcuno del MSI arrivò addirittura a ipotizzare che questa organizzazione fosse finanziata dal PCI. Leucio Miele è morto troppo giovane, amatissimo da tutti e chi lo ha incontrato ne traccia questo ritratto: un combattente, poeta del popolo che definiva le ideologie “bizantinismi utili solo a soggiogare meglio le nazioni”.
Amanda Incardona
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La Fiamma del Vulture
Leucio Miele nacque nel 1939 a Montalbano, in provincia di Matera. Comincia giovanissimo la sua militanza politica nel MSI, ma nel ’64 lo abbandona per la sua svolta conservatrice. Deluso dalla politica istituzionale, comincerà un periodo di meditazioni e studi in cui spazierà dai grandi tradizionalisti alla “Beat generation” e approfondirà temi come fascismo, antifascismo e brigantaggio. Il suo spirito in rivolta lo porterà comunque a guidare delle proteste contro l’allora potentissimo ministro Colombo. Miele decide di riprendere la militanza nel ’69 quando, insieme ad altri extraparlamentari di destra e sinistra, fonda Lotta di Popolo, un movimento che si propone di superare lo schema destra/sinistra per creare un fronte comune contro il “capital-imperialismo”. LdP si batte per l’Europa come terzo blocco tra Usa e Urss, per il socialismo nazionale e per l’ecologia. Sostiene i guerriglieri palestinesi, irlandesi e vietnamiti e guarda con attenzione alla Cina di Mao. I loro riferimenti andavano da Evola a Guevara, da Heidegger a Malcolm X.
Dopo tante battaglie (come quelle per la casa) Ldp, attaccata a sinistra dai marxisti e a destra dal MSI di Almirante, entra in una fase critica.
Miele decide quindi di tornare e continuare le sue lotte in Lucania. A Montalbano fonda il Comitato d’Azione Popolare dove riesce a unire missini e comunisti e con cui riesce a far approvare una sua legge a protezione delle colture e a impedire la disgregazione del suo paese.
Si impegna a fondo per formare una classe dirigente nella sua terra, sia discutendo coi più giovani sia con la forza invincibile dell’esempio: da benestante, nel più assoluto silenzio, aiutava i poveri del paese e non si asteneva mai, lui che “aveva studiato”, dal dare una mano ai meno istruiti, anche se avversari politici. In ciò che faceva, era mosso dal senso del Dovere verso sé, verso la sua terra e verso la sua gente.
Miele morì a 36 anni, il 4 Marzo 1975, 46 anni fa.
La sua totale dedizione alla causa, il suo amore per la nostra Terra e per il nostro Popolo devono essere il faro della nostra generazione