di Corrado Speziale
Un sole estivo ma dal tono mesto, riscalda ed illumina la mattina nell’intera zona sud di Messina, quella che, partendo da Tremestieri, si sviluppa lungo il litorale jonico per tutta l’estensione del territorio comunale fino a Giampilieri, per poi “sconfinare†a Scaletta Zanclea. Area che da cinque giorni stenta a riprendersi da uno shock tremendo, causato dalla furia devastante di un’alluvione, accompagnata da fenomeni di dissesto idrogeologico dalle conseguenze letali. Comprensorio che piange i propri morti, quelli il cui corpo è stato recuperato, e quelli ancora in attesa di ricevere il degno, doloroso abbraccio dei propri congiunti, tra cui anche chi, non propriamente della zona, ha visto il proprio destino compiersi in virtù di una orribile casualità.
La cornice di detriti, ai margini della Statale 114, ci accoglie giàa Ponte Schiavo, distanti circa 4 Km dalla zona del disastro. Quattro, forse cinque pattuglie, ci bloccano lungo il tratto finale del percorso per conoscere spiegazioni sul nostra meta, “proseguite a passo d’uomo con le doppie frecceâ€Â, ci dice un giovane carabiniere, scostandosi la mascherina dalla bocca, “e fate attenzione, perché stamattina làdavanti il traffico stenta a scorrereâ€Â, aggiunge con fare cortese. La mascherina serve a riparare gli addetti ai lavori dalle insidie della polvere che, con l’asciugarsi del fango, si propaga nell’aria al passaggio degli automezzi pesanti, presenti in grande quantitàin tutta la zona, da quella notte maledetta.
Si incontrano colonne con automezzi di ogni tipo, dalle autobotti per l’approvvigionamento idrico, a quelli con i generi di prima necessità, ai veicoli più svariati per i soccorsi. Elicotteri appartenenti a tutti i corpi delle forze dell’ordine e delle istituzioni, piazzati in un campo di calcio lungo la Statale, si levano continuamente in volo, alternandosi nello spazio aereo.
Arrivati nel villaggio del dolore, appare subito agli occhi un paesaggio surreale: fango dappertutto, ancora presente qualche carcassa d’auto accartocciata, il silenzio delle tante persone con le divise colorate, impegnate su ogni fronte, è interrotto solo dai mezzi meccanici come ruspe, autoescavatori, bobcat, impiegati lungo le strade sommerse da terra e macerie. I soccorritori sono i nuovi abitanti delle strade del paese, hanno preso il posto di tutti i residenti, ormai completamente sfollati, alcuni dei quali li incrociamo all’inizio del paese alle prese con i loro ultimi effetti personali, recuperati nelle abitazioni.
Alzando gli occhi verso l’alto appare, dall’aspetto incolpevole, lambita dal sole, la montagna ferita. Gli ampi solchi verticali, di forma conica, scavati lungo gli acclivi pendii, sono ben evidenti. Le profonde incisioni causate dal collasso della coltre detritica che, sospinta dalla furia delle acque, si è abbattuta violentemente su quel popolo di innocenti, segneranno per sempre i cuori e le menti di coloro che, sommersi prima dal fango, poi dal dolore, non potranno mai dimenticare.
Vigili del fuoco addetti alle unitàcinofile, attendono, accanto ai loro “Fidoâ€Â, un’ eventuale chiamata, nel caso in cui i soccorritori sospettassero della presenza di qualche povero corpo da estrarre.
Inoltrandoci in quelle che erano le più suggestive viuzze dell’antico borgo della Messina jonica, troviamo solo terra e macerie di una devastazione che descrivere nella sua essenza sembra impossibile. Foto e filmati di ogni tipo, fino ad ora osservati in televisione, non rendono l’idea sull’effettivo stato dei luoghi e di quanto si sia verificato. Sul posto ci si compenetra in una drammatica dimensione umana, colpita, sconvolta, offesa.
Un intenso e strano cattivo odore avvolge quelle stradine, ma si è tanto scossi da ciò che si presenta sotto i nostri occhi che non riusciamo a commentarlo. Si tratta della carne, andata ormai a male, ancora rinchiusa nella macelleria del paese, completamente sommersa, che come ogni fine settimana si apprestava a ricevere un numero maggiore di clienti, lieti di trascorrere, come consuetudine, la classica domenica a tavola.
A protezione della grande dignitàdi quella gente, si avvicina un vigile del fuoco per accertarsi che non fossimo interessati a “visitare†qualche abitazione abbandonata, perché si sa che gli atti di sciacallaggio, in questi casi, sono all’ordine del giorno.
Saliamo alla sommitàdel paese, nel punto in cui lo stesso si “consegna†alla montagna, e da dove sono partiti i primi massi assassini, e làtroviamo un abitante del posto che, mischiando rabbia ed esperienza, ci illustra le sue teorie sulla risoluzione degli annosi problemi di carattere idrogeologico che tormentano Giampilieri. Dopo esserci complimentati con lui anche per il suo incomparabile ottimismo, prendiamo la via del ritorno, passando dalla scuola elementare, divenuta centro di coordinamento delle operazioni di soccorso, dove trovano alloggio tutti gli operatori, dalle forze dell’ordine ai volontari di ogni tipo.
Al rientro constatiamo numerosi camper adibiti a centri mobili di produzione televisiva, incolonnati ai bordi della strada, accanto ai quali non passa inosservata la presenza di qualche volto noto della tv, perchè è quasi ora di pranzo ed incalzano i telegiornali.
Giampilieri, un villaggio di gente semplice, operosa e dalla grande dignità, paese dove abitava Simone Neri, militare della Marina, indimenticabile “eroe†quasi trentenne, perito nella catastrofe dopo aver salvato 9 vite umane, in questi giorni, a riflettori accesi, è la localitàitaliana più famosa.
Appena saràchiuso il sipario nel teatro di questa immane tragedia, si dovranno accendere le luci nelle menti e nelle coscienze di tutti coloro che in questo ambito hanno precise mansioni e responsabilità.
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