Politica cialtrona e popolo complice. Una commedia in cui Aristofane descrive mirabili ed ellittiche traiettorie in cui la politica, in determinati momenti, oggi più attuali che mai, s’impoverisce nel linguaggio e si esalta nella mediocrizzazione del personale che si avventura e si cimenta, misurandosi con la propria ambizione e mettendosi in luce in una competizione al ribasso.
Nella versione de “I Cavalieri”, in programmazione a Teatro Antico di Siracusa sino all’8 luglio p.v., bravissimi attori sono riusciti a definire un contesto in cui la politica è luogo di mediocrità in cui i livelli infimi della società danno sfoggio, nell’esplicarsi disadorno delle loro aspirazioni, di volgarità estreme e di latitante cultura.
Qui i Cavalieri sono, più che coro possessore di integrità morale, sì come voluto da Aristofane, pubblico attonito che segue la tendenza del tempo, acquiescente di fronte al male malgovernato che si orienta al peggio. La rappresentazione scenica sembra rimandare ad una intonazione brechtiana, in cui lo spettacolo alterna momenti di prosa a momenti musicali e cantati con un eccellente Roy Paci, che dà la sequenza ritmica alla competizione politica non solo tra capo carismatico e demagogo, ma tra il salsicciaio (Pannofino) e Paflagone (Gigio Alberti), ossia tra il nuovo interprete del potere ed il vecchio potente scalzato via e preso a calci. Così tra istrioniche marionette si descrivono quali prede di velleitarie aspirazioni.
Con questa commedia Aristofane prova a mettere in guardia gli ateniesi dai pericoli insiti nella demagogia di Cleone. In forma di personificazione Aristofane presenta sulla scena Demos (il Popolo), vecchio, bisbetico e mezzo sordo, completamente in balia di uno dei suoi servi, Paflagone (Cleone), che lo imbroglia e lo manda in rovina senza che egli se ne accorga.
Tuttavia i due servitori fedeli invano cercano di aprire gli occhi al padrone, spalleggiati dai cavalieri, l’unica classe che avrebbe dovuto conservare ancora l’integrità morale e che invece segue una china presaga di insolute crisi caratteristiche dei tempi senza più valori, meriti e morale. Il popolo a cui da voce Demos (impersonato da un bravo e istrionico Antonio Catania) alla fine fiuta una tendenza incline all’imbroglio diffuso ed al malaffare senza resistenze, assecondando e scegliendo il peggiore, il volgare, il sudicio. Il tutto vivacemente interpretato ha suscitato sorrisi ed applausi del numeroso pubblico presente, anche nei riguardi di Solari, sublime, in regia.
Così, nell’ennesima occasione, Siracusa, con l’INDA, ci ha bellamente abituati ed è riuscita, anno dopo anno, a dimostrare arte e qualità, ma soprattutto impegno e continuità. Bravi tutti.
(Rino Nania / 30 giugno 2018)
foto di Centaro, Ballarino Le Pera