Non è servita l’ultima supplica di Massimo Bossetti, peraltro ben oltre il tempo limite: “Ripetete il Dna perché non è mio”. I giudici della Corte d’assise di Bergamo hanno dimostrato di pensarla diversamente sulla cosiddetta ‘prova regina’ e, dopo oltre dieci ore di camera di consiglio, ne sono usciti pronunciando “nel nome del popolo italiano” la parola che il muratore di Mapello più temeva: “ergastolo”. E ne hanno aggiunte altre, di parole, forse altrettanto dolorose per Bossetti: non avrà più la patria potestà sui suoi tre figli, ancora minorenni. Bossetti ha accolto la sentenza senza scomporsi, sollevando gli occhi al cielo. Poco dopo, ai suoi legali ha detto “Non è giusto, è una mazzata, avevo fiducia nella giustizia”.
Fuori dall’aula le due donne della sua vita che hanno voluto essere presenti in aula, la moglie, Marita Comi, e la sorella gemella, Laura Letizia, si sono abbracciate a lungo, il volto solcato di lacrime. Per i giudici, quindi, è stato è stato il muratore di Mapello a prendere Yara il 26 novembre del 2010 e a ucciderla, nel campo di Chignolo d’Isola dove il corpo della tredicenne di Brembate di Sopra sarà trovato tre mesi dopo. E lo ha fatto con quella crudeltà che costituisce l’aggravante che ha comportato il carcere a vita, pur senza quei sei mesi di isolamento chiesti dall’accusa.
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